Stavo pensando a questo periodo così strano, così
diverso, un periodo assassino che ci costringe a riflettere e riconsiderare le
priorità, forse sbagliate o date per scontate, della nostra vita.
Pensavo che non è trascorso tanto tempo dal
periodo in cui ci facevamo gli auguri per l’anno che stava arrivando, un anno
bisestile, con le battute del caso.
Poi sono arrivate le notizie di una nuova
malattia che si stava affacciando in Cina, con immagini nuove di quel posto,
gente costretta a chiudersi in casa per non morire. Immagini e situazioni nuove
per molti di noi, ma quella terra era lontana, sebbene nell’era della
globalizzazione.
Poi quel virus è arrivato da noi, ma ci sembrava
ancora lontano, abituati come siamo a pensare che le cose brutte riguardino
sempre gli altri.
E invece in poco tempo si è espanso, non solo da
noi, ma in tutto il mondo, soprattutto in una certa fascia del mondo.
Siamo rimasti increduli, stupiti, dubbiosi, poi
impauriti.
Tante le domande sui perché, sui perché proprio a
noi.
Situazioni nuove, anche per coloro che, ancora in
vita, riescono a raccontare delle guerre passate e delle analogie con il nostro
periodo.
Già, ancora in vita, perché tante di quelle
persone sono state le prime ad essere divorate dal nuovo virus, portandosi
dietro le loro storie, le loro testimonianze, i pianti dei loro cari che non le
hanno potute rivedere. Portate via da camion militari in altri luoghi, perché i
loro non erano più in grado di ospitarli.
Pensavo ai giorni in cui sono state accese luci
ed esposte bandiere sui balconi, balconi che sono diventati improvvisamente
palcoscenici, calcati per non sentirsi soli e per non far sentire soli, per
comunicare la voglia di vivere, per sentirci in compagnia, ormai costretti in
casa per non fare vincere il nemico.
Pensavo al nemico, invisibile, artefice della
nuova guerra mondiale, che ci ha fatto capire la nostra piccolezza, la nostra
vulnerabilità, che ha stanato i nostri difetti e le nostre megalomanie.
Pensavo a coloro che stanno dando la loro vita
per salvare gli ammalati, pensavo a coloro che stanno mettendo a disposizione
degli altri i doni che hanno ricevuto nascendo.
Pensavo ai discorsi fatti dai nostri governanti,
provando ad immaginare cosa hanno provato dovendo comunicare le loro scelte, ai
discorsi del Presidente della Repubblica,
Pensavo alle preghiere di Papa Francesco, toccato
da immagini eloquenti ed indimenticabili: lui solo, ma non da solo, insieme
all’infinito, con una piazza deserta e bagnata dalla pioggia sullo sfondo.
C’è un senso a tutta questa situazione? Forse no.
O forse sì.
Forse sì, se riusciremo a mettere a frutto gli
insegnamenti che questa tempesta ci sta dando.
Forse sì, se riusciremo a manifestare questa
voglia di fraternità e di comunità che abbiamo riscoperto in questi giorni.
Forse sì, se riusciremo a rispettare il mondo che
ci ospita.
Forse sì, se riusciremo a continuare ad
alimentare questo senso di solidarietà.
Forse sì, se riusciremo a capire che un’egoistica
solitudine non porta a niente.
Forse sì, se riusciremo a capire che invece non
siamo soli e che insieme si possono affrontare meglio le difficoltà.
Non sappiamo come sarà il nostro dopoguerra, al
momento non sappiamo nemmeno se lo vedremo e quando questa guerra finirà.
Non sappiamo se, passata la paura, prevarrà
quello che stiamo imparando o se ognuno riprenderà a far finta di niente e di
nessuno, esattamente come prima.
Se ne usciremo, ne usciremo cambiati.
I cambiamenti portano con sé dubbi, paure, ma
anche curiosità, stimoli, nuove energie.
Sicuramente non sarà facile. Tutto quello che
stiamo vivendo adesso ne è la prova e noi dobbiamo tentare di interpretare
questi tempi affinché siano migliori quelli che verranno.
Pensavo a molti hashtag nati a seguito del virus:
portano con sé fiducia, speranza, amore.
Non ho potuto fare a meno di pensare ad altre tre
parole: Fede, Speranza, Carità.
In attesa di nuove strette di mano e di nuovi
abbracci, nuove vite vengono al mondo.