martedì 30 maggio 2023

Greco? A che cosa ti serve?

Questa è stata la domanda che mi ha rivolto mia suocera quando ho informato la famiglia che avrei partecipato ad un corso di approccio al Greco.

In realtà la domanda è stata leggermente diversa, questione di sfumature, perché mia suocera dall’alto dei suoi novantacinque anni, me l’ha rivolta in quel dialetto amatriciano che ancora alberga dentro di lei: «A Robbe’, ma a che te serve?».

Forse lei, con quella domanda, intendeva tutelarmi, pensando che andavo ad aggiungere qualcos'altro alle tante cose che già devono essere condotte al termine della giornata.

I più avrebbero risposto: «A niente», guardando all’aspetto pratico.

Io invece risposi: «Per mio arricchimento».

Non si può misurare tutto sulla base di un tornaconto: faccio questo perché mi serve a quest’altro.

I doveri nella vita sono già molti, per cui lasciamo un po’ di spazio anche ad altro, ad una curiosità che invita a conoscere qualcosa di nuovo, ad una passione che stimola ad alimentare un sogno, ad una coppia di neuroni che desidera continuare a danzare in una balera che sembra sempre più stretta, a tutto quello che aiuta a rendere la quotidianità più bella, più leggera, più godibile, più vivibile.

La felicità, forse, è una meta irraggiungibile, ma perché non tentare di avvicinarla?

In questo contesto tutte le cose, anche le più piccole e apparentemente insignificanti, assumono un senso ed il loro valore diventa inestimabile.

Anche un corso di Greco, perché la curiosità che mi ha spinto a farlo mi ha fatto capire che ho ancora lo spirito di mettermi in gioco e provare qualcosa di nuovo, di esplorare qualcosa di sconosciuto fino a quel momento, lo spirito di andare avanti, ma senza perdere di vista la realtà, rimanendo con i piedi per terra, considerando ciò che è fattibile senza sacrificare oltre il lecito la famiglia, la più grande grazia che abbia ricevuto, che da sempre mi sopporta, mi supporta e mi sostiene.

Oggi, a corso terminato, alla domanda «A Robbe’, ma a che te serve?», rispondo così:

«A vivere». 

domenica 7 maggio 2023

Mamma, oggi sei diventata maggiorenne

 

Dedicato a te, mamma


Lo volli in fretta terminare.

Poco tempo ti restava,

tu non potevi più aspettare,

ma a te, prima fra tutti,

lo volevo raccontare.

 

Ti mettesti giù,

distesa sul tuo fianco

come quando ti volevi addormentare,

e ad occhi chiusi

ti accingesti ad ascoltare.

 

Per un’ora, forse più,

io rimasi lì a parlare:

sembravi una bambina

cui si racconta una novella

per render la notte un po’ più bella.

 

Per una volta io ero tuo padre,

e tu mia figlia.

 

Quando infine terminai,

sorridesti,

e io a te mi avvicinai.

Ignorando il tuo dolore

 mi facesti un complimento

che ora porto nel mio cuore,

stella dentro il firmamento.

 

Adesso te ne sei andata,

dal tuo male liberata,

da quella infima prigione

ultima tua tribolazione.

 

E con il ricordo

di quell’ultimo sorriso

io ora prego:

 vola mamma, vai!

Ti accolga il Paradiso.

 

Quel 7 maggio la tua mano si spense nella mia.

Sono passati diciotto anni da quel giorno. E se anche nel mondo in cui sei la maggiore età si raggiunge al compimento del diciottesimo anno, allora oggi sei diventata maggiorenne. Forse stai già prendendo la patente o forse sei prossima al diploma, traguardi che nel nostro mondo la vita ti ha negato.

Chissà quale festa starai preparando, e chissà quanti amici avrai. Forse qualcuno che ho conosciuto anch’io è lì con te. Provo a immaginare un dialogo.

Tu che dici: «Mio figlio, nell’altro mondo, si chiama Roberto.»

E l’altro, o l’altra, che ti risponde: «Ma quel Roberto lì? È tuo figlio? Ma sai che lo conosco.»

È bello pensarti a discorrere piacevolmente insieme ad altre persone a cui ho voluto bene, e tu che apprendi che tipo di persona sono diventato, che tua nipote è una donna, che il babbo cammina con il bastone, che i miei capelli sono pochi e bianchi.

Ma tu sai già tutto perché i tuoi occhi… sentono.

Oggi porto gli occhiali, mamma, per vederci meglio, ma con te non mi servono: tu sei sempre bella.