Ogni giorno, alla stessa
ora, assistiamo all'elencazione dei numeri relativi alla pandemia del Covid-19.
Sembra di assistere
all'esito di una qualunque tornata elettorale, con cifre, percentuali,
andamenti grafici. Più o meno contagiati, più o meno guariti, più o meno morti
rispetto al giorno precedente, i numeri totali.
A questi numeri, poi,
seguono commenti di come va letto quell'andamento o quell'altro dato. Ed è tutto
così freddo, così matematico.
Ma dietro ad ogni numero
c'è una persona, con un volto, una storia, una famiglia, una sfera di affetti. Una
persona con una vita, che non sarà più la stessa d'ora in poi.
Questa condizione sta
cambiando tutti noi, dentro e fuori. Non tutti per la verità: c'è ancora chi
non ha capito la gravità della situazione e, in barba ai divieti e ai consigli,
continua imperterrito come se niente fosse.
Questo perché, forse,
pensiamo che il male riguardi sempre gli altri. Ci sentiamo onnipotenti,
invincibili, invulnerabili. Ma se provassimo a pensare che i prossimi potremmo
essere noi, allora sapremmo rispettare di più anche gli altri.
Chi entra in un ospedale
a causa del Covid-19, se riesce ad entrarci, ha due possibilità: guarire o
morire. Fra i tanti dubbi e le tante paure, una sola certezza: quello che
seguirà avverrà senza avere accanto nessuna persona cara.
Allora, dietro a quei
numeri, penso che ci sia anche lo sguardo di coloro che sono usciti di casa,
sulle proprie gambe o sopra una barella, guardando negli occhi le persone care
che hanno arricchito la loro vita fino a quel momento, con la paura che quegli
occhi, quegli sguardi, non abbiano più un'altra possibilità di incrociarsi.
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