IL COLORE DI MEZZO
Quando ti vidi stavi correndo in tutta fretta
verso la fermata dell’autobus. Eri in ritardo di una manciata di secondi, ma
non volevi perderlo. Mi colpirono i tuoi capelli oscillanti, castani con dei
riflessi biondi disegnati dal sole. Io ero fermo al semaforo della strada che
si incrociava con quella sulla quale stavi correndo. Aspettavo il verde per
poter attraversare un piccolo torrente. Sembrava non arrivare mai ed in me
cresceva il desiderio di vedere il tuo volto. Sai com’è in questi casi? Più
desideri che il semaforo diventi verde, più quello si ostina a restare rosso.
Sembra che lo faccia intenzionalmente. Non aspetti altro che ripartire e
quello, invece, ti tiene il piede inchiodato sul freno. Quel maledetto rosso!
Alla radio cominciarono gli annunci pubblicitari.
Abbassai leggermente il volume.
Ti vidi salire sull’autobus senza riuscire ad
individuarti tra le altre persone, ma capii che tra di noi ci sarebbe stato
qualcosa di speciale. Ancora non sapevo se in un futuro avremmo avuto una
relazione o cosa, ma ti immaginai, da subito, accanto a me per sempre.
Dovevo trovarti, perché tu eri il motivo per cui
mi trovavo lì in quel preciso istante. Questo mi era fin troppo chiaro.
Non pensavo che a te, ogni istante del mio tempo
aveva il tuo volto, la tua voce, la tua risata.
I tuoi occhi mi guardavano, pieni di amore, ed i
miei ricambiavano. Ma avrei potuto dire anche il contrario, perché era
difficile comprendere chi fosse il primo dei due a guardare l’altro.
Ero completamente imbambolato, in balia dei
sentimenti che nutrivo per te. Qualcuno avrebbe potuto dire che ero del tutto
rincoglionito, ma io preferivo pensare di essere innamorato pazzo. Ed era vero,
era proprio così: eri la mia idea fissa, un’ossessione che mi faceva stare bene,
il mio pensiero era sempre per te. E poi ti sognavo. Quello, forse, era il
momento più bello e più strano di tutti, perché il sogno porta con sé qualcosa
di magico, qualcosa che trascende la vita reale. Nel sogno tutto è possibile e
qualche volta possiamo pure guidarlo dove vogliamo noi. Ogni confine diventa
valicabile ed ogni limite diventa superabile.
Sei apparsa così tante volte nei miei sogni che
alla fine ero confuso. Non sapevo più se ti avevo incontrato o se ti avevo
sognato.
Tu c’eri sempre, ogni istante era bello, ed era
così difficile sceglierne uno più bello di un altro, perché tutti lo erano.
La mia fantasia galoppava e aspettavo con ansia un
altro momento per stare insieme, per parlare con te.
Fino dalla più tenera età non ho avuto occhi che
per te.
Ai giardinetti ci incontravamo e facevamo a gara
con il triciclo. Tu pedalavi ed io cercavo già di guardarti le gambe, che
riuscivo a intravedere al di sotto della tua gonna oscillante. Pedalavamo così
in fretta che alla fine della corsa eravamo entrambi sudati. Il mio ciuffetto
era bagnato, le tue guance arrossate e le tue labbra rosse come le fragole. Gli
altri bambini c’erano, ma era come se non esistessero. Non mi interessavano, a
me importava trascorrere il tempo con te, e quando arrivava il momento di
andare a casa diventavo triste, pensando che avrei dovuto attendere un giorno o
più prima di rivederti.
Ci incuriosivano le finestrelle che si creavano
fra i nostri denti. Quei vuoti ci facevano ridere l’una dell’altro, ma poco
importava perché gli adulti ci dicevano che altri dentini sarebbero cresciuti.
Nel frattempo però ci sembravamo buffi e ridevamo. Già allora ci piaceva
ridere. Non abbiamo mai smesso di farlo.
I primi giorni di scuola fui contento di sapere
che eravamo nella stessa classe, tu nel banco due file dietro al mio. Forse proprio
in quei frangenti presi l’abitudine di stare sempre scomposto mentre sono
seduto. Sapessi quante volte mi hanno ripreso gli insegnanti perché stavo
sempre di profilo, con un braccio appoggiato alla sedia ed uno al banco. Ma
quella posizione mi permetteva di buttare un occhio alla lavagna ed uno a te. E
tu eri sicuramente più interessante di qualsiasi lezione. Avrei voluto essere
il tuo compagno di banco, ma le disposizioni erano chiare: maschi con i maschi
e femmine con le femmine. Questa cosa mi faceva imbestialire!
Non ero il solo a cui piacevi, c’era una grande
concorrenza, e questo non mi rendeva le cose facili. Non ti nascondo che ero
anche un po’ geloso. Tu mi prendevi in giro per questo, ma per me era la
conferma, invece, che a te piaceva che lo fossi. Non hai mai fatto niente per
ingelosirmi, ma quando vedevo altri che gironzolavano dalle tue parti, beh, non
ero affatto contento.
Il mio punto forte era la pazienza. Sì, ero
paziente, sapevo aspettare, e finalmente il momento arrivò.
Ci ritrovammo a casa tua per studiare. Eravamo
ancora alle elementari, poco più che bambini.
C’erano anche altri quel giorno. Eravamo sei o
sette, maschi e femmine, ma una volta finiti i compiti gli altri si prepararono
ad andare via, mentre io indugiai un po’, guardandoti.
«Tu resti?» mi domandasti.
Fui felice di sentire quelle parole. A dire il
vero non aspettavo altro. Il mio intento era proprio quello di restare ancora
un po’ con te, da solo, e per quel motivo ti avevo guardato, interrogandoti con
lo sguardo, aspettando e sperando che tu facessi quella domanda.
«Sì» risposi.
Attesi qualche istante. Poi, quando mi resi conto
che nessuno fra gli altri sarebbe rimasto, sorrisi per confermarti la mia
risposta.
Restammo soli.
Mi portasti in cucina e ci preparammo due panini
con la Nutella. Volevi portarmi a camminare per la campagna circostante. A me
stava bene e nella mia testa cominciò ad insinuarsi l’idea di essere speciale
per te. Ci incamminammo e percorrendo quei piccoli viottoli parlavamo di tutto,
di quelle cose che ci sembravano importanti a quell’età e che oggi, invece, ci
farebbero sorridere per la loro leggerezza. Allora parlavamo di cose da
bambini, perché lo eravamo, ma il fatto di essere da soli, di passeggiare
insieme, di parlare insieme, di mangiare insieme, ci faceva sentire molto, ma
molto grandi.
Ascoltavo ogni tua parola con la massima
attenzione. Ogni tanto toglievo lo sguardo dai tuoi occhi e lo rivolgevo verso
il basso. Vedevo i miei piedi che andavano avanti, una volta l’uno, una volta
l’altro. Non perdevo una virgola di quello che dicevi. Poi, quando era il mio
turno di parlare, tu smettevi di mangiare e rimanevi con il braccio alzato, con
quel panino che fluttuava all’altezza delle spalle, mentre giravi la testa per
seguirmi con lo sguardo.
Ebbi la sensazione che la nostra amicizia fosse
ancora più salda dopo quella giornata. Ma era veramente quello che desideravo?
Volevo soltanto la tua amicizia? No, io non volevo essere per te soltanto un
amico.
Intanto crescevamo e ognuno di noi cominciava ad
esplorare altri mondi. Tu avevi cominciato a conoscere altre persone, io un po’
meno. Ero sempre attratto da te e questo era sufficiente a non permettermi di
fare altre conoscenze. Non ero un grande esploratore.
Fui contento quando mi invitasti alla tua festa
per quel Carnevale. Non ho mai amato quella festa, ma quel giorno la gradii
molto.
Facendoti aiutare dalle tue amiche, avevi
preparato tutto con cura e attenzione. Era tutto molto bello. Il garage che i
tuoi genitori avevano messo a disposizione era perfetto, con le luci colorate,
la musica, le bibite e il buffet.
E c’era pure un sacco di gente. Troppa, come
sempre, per me. A me bastavi tu. Io volevo soltanto stare con te, parlare come
avevamo fatto tante volte e come non accadeva più da un po’ di tempo. Altri
avevano scambiato quella festa come occasione per fare confusione e caciara.
Alcuni persero il controllo e cominciarono ad esagerare. Che maleducati! Arrivarono
gli adulti e ci fecero andare via, tutti quanti. La festa era finita.
Ho ancora il ricordo di te, seduta sulla sedia in
mezzo alla stanza, con le lacrime agli occhi. Avrei voluto essere il tuo
principe, quello che aveva risolto la situazione, invece non feci nulla per
fermare quegli scalmanati e questo mi fece sentire in colpa, come se quel casino
fosse dipeso da me. Non riuscii a consolarti o a dirti qualche parola che
potesse aiutarti. Ero inutile e come qualsiasi persona inutile ti dissi le
parole più stupide ed inutili che la mia bocca potessero proferire: «Mi
dispiace».
Come un idiota non seppi dirti altro. Avrei
dovuto fare di più, essere di più. Tu non mi guardasti, né mi rispondesti. Ti
alzasti e te ne andasti senza salutare.
I nostri rapporti si raffreddarono ma io non
intendevo perderti e cercavo sempre l’occasione per farti vedere che esistevo
ancora. Non era facile: io ero ancorato a te mentre tu stavi allargando i tuoi
orizzonti, stavi spiccando il tuo volo.
Fu così che un giorno, forse mossa a compassione
per la mia insistenza, o forse per farmi desistere del tutto, mi confidasti di
esserti innamorata di un ragazzo. E lo facesti senza usare le parole, in un
modo che non poteva lasciare spazio ad equivoci.
Ti vidi seduta sulla panchina in prossimità della
gelateria. Eri sola, così pensai di farti una sorpresa. Entrai, comprai due
gelati di cui uno con i tuoi gusti preferiti, fragola e limone, uscii e mi
sedetti accanto a te. Ti porsi il gelato. Sul tuo volto notai un’espressione,
ma non fu quella di una piacevole sorpresa. Mi sembrasti un po’ seccata; questo
mi spiazzò e, allo stesso tempo, mi gelò. Tutte le mie intenzioni svanirono in
un istante.
Cominciasti a leccare quel gelato e la tua
lingua, se la tua prima reazione fosse stata diversa, avrebbe originato in me le
più piccanti delle fantasie. Invece mi sentivo quasi in imbarazzo, consapevole
di aver fatto la figura dello sciocco, indesiderato, che aveva tentato uno
stupido approccio.
Finimmo il gelato senza dire niente. Tu mi
guardavi ed io non sopportavo la tua pena. Sembravano così lontani i tempi del
triciclo. E lo erano, ma io era ancora lì con la mia testa, mentre tu eri
cresciuta ed eri altrove.
Me ne accorsi subito dopo, quando arrivò un
aitante ragazzo a salutarti.
Lui ti chiamò, tu ti pulisti la bocca con la
salvietta del gelato, mi guardasti, ti alzasti e gli andasti incontro. «Ciao,
ti stavo aspettando» gli dicesti. Lo baciasti proprio davanti a me e, quando ti
staccasti per riprendere fiato, ti voltasti a guardarmi di nuovo, dicendo: «Mi
dispiace».
Ci rimasi male, non pensavo di meritarmi quel
trattamento. Fu un bel colpo, ma io non riuscivo a smettere di essere
innamorato di te, sì perché adesso mi era ancora più chiaro che io ero
innamorato di te. In cuor mio confidavo che il tempo mi avrebbe dato ragione e
che tu avresti ricordato chi ero veramente io e che cosa rappresentavo per te.
Forse era solo frutto della mia fantasia, forse
non mi pensavi affatto.
Non vedendoti più, cercavo di sapere qualcosa dai
nostri amici in comune, ma quello che mi dicevano non corrispondeva alla
persona di cui mi ero innamorato. Eravamo così lontani.
Poi arrivò il giorno più atteso.
Una tua amica mi riferì che non stavi più insieme
a quel ragazzo che aveva invaso la mia mente. Mi vergognai un po’ per aver
provato un certo sollievo a quella notizia.
Non potevo gioire per qualcosa che sicuramente ti
aveva causato sofferenza, ma ciò nonostante lo feci e ne fui pure contento! Per
me c’era una speranza, intravedevo una luce.
Non sapevo se farmi vivo subito o se attendere un
po’. Decisi di non essere frettoloso e aspettai qualche settimana. Non fu
facile rimanere per tutto quel tempo con le mani in mano, con la paura che
potessi perderti di nuovo prima ancora di averti riconquistata.
Ma poi, riconquistare chi?
Mi resi conto che non ti avevo mai dichiarato il
mio amore. Mi sembrava così chiaro che lo avevo dato per scontato. Non ti avevo
mai detto di amarti. Ancora una volta avrei preso la mia testa a martellate. Ma
come potevo essere così stupido?
Allo stesso tempo mi fu chiaro che nemmeno tu
avevi mai detto di amarmi.
Era tutto frutto della mia immaginazione, della
mia fantasia? E se in realtà non t’avessi mai conosciuta?
Fui assalito da qualsiasi dubbio possibile e anche
da quelli impossibili. Sentivo che un’altra figura di merda era all’orizzonte,
ma ormai ero lanciato ed una in più non avrebbe cambiato di molto le cose.
Feci bene a dare retta al mio istinto perché oggi
sono qui a leggerti quello che ho scritto di te e di noi. Non è tutto, certo,
solo una piccola parte di quella che è stata la vita che abbiamo trascorso
insieme. Una vita con qualche complicazione ma gratificante e piena di amore,
quell’amore che finalmente abbiamo trovato il coraggio di dirci. E quanto ci
abbiamo girato intorno a quelle parole, quanto tempo trascorso prima di
deciderci. Quanto tempo sprecato. Era più forte la paura di essere respinti che
il desiderio di saperci amati.
Ma se non avessimo mai trovato quel coraggio, che
cosa sarebbe stato della nostra vita? Una vita da sogno, di quei sogni che
durano pochi attimi, una breve eternità dove tutto è possibile, dove ogni confine
diventa valicabile ed ogni limite diventa superabile.
Alla radio ripresero a trasmettere le canzoni.
Alzai leggermente il volume.
Il semaforo divenne verde. Ingranai la prima e ripartii.
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