sabato 28 marzo 2020

Dal didentro


Stavo pensando a questo periodo così strano, così diverso, un periodo assassino che ci costringe a riflettere e riconsiderare le priorità, forse sbagliate o date per scontate, della nostra vita.
Pensavo che non è trascorso tanto tempo dal periodo in cui ci facevamo gli auguri per l’anno che stava arrivando, un anno bisestile, con le battute del caso.
Poi sono arrivate le notizie di una nuova malattia che si stava affacciando in Cina, con immagini nuove di quel posto, gente costretta a chiudersi in casa per non morire. Immagini e situazioni nuove per molti di noi, ma quella terra era lontana, sebbene nell’era della globalizzazione.
Poi quel virus è arrivato da noi, ma ci sembrava ancora lontano, abituati come siamo a pensare che le cose brutte riguardino sempre gli altri.
E invece in poco tempo si è espanso, non solo da noi, ma in tutto il mondo, soprattutto in una certa fascia del mondo.
Siamo rimasti increduli, stupiti, dubbiosi, poi impauriti.
Tante le domande sui perché, sui perché proprio a noi.
Situazioni nuove, anche per coloro che, ancora in vita, riescono a raccontare delle guerre passate e delle analogie con il nostro periodo.
Già, ancora in vita, perché tante di quelle persone sono state le prime ad essere divorate dal nuovo virus, portandosi dietro le loro storie, le loro testimonianze, i pianti dei loro cari che non le hanno potute rivedere. Portate via da camion militari in altri luoghi, perché i loro non erano più in grado di ospitarli.
Pensavo ai giorni in cui sono state accese luci ed esposte bandiere sui balconi, balconi che sono diventati improvvisamente palcoscenici, calcati per non sentirsi soli e per non far sentire soli, per comunicare la voglia di vivere, per sentirci in compagnia, ormai costretti in casa per non fare vincere il nemico.
Pensavo al nemico, invisibile, artefice della nuova guerra mondiale, che ci ha fatto capire la nostra piccolezza, la nostra vulnerabilità, che ha stanato i nostri difetti e le nostre megalomanie.
Pensavo a coloro che stanno dando la loro vita per salvare gli ammalati, pensavo a coloro che stanno mettendo a disposizione degli altri i doni che hanno ricevuto nascendo.
Pensavo ai discorsi fatti dai nostri governanti, provando ad immaginare cosa hanno provato dovendo comunicare le loro scelte, ai discorsi del Presidente della Repubblica,
Pensavo alle preghiere di Papa Francesco, toccato da immagini eloquenti ed indimenticabili: lui solo, ma non da solo, insieme all’infinito, con una piazza deserta e bagnata dalla pioggia sullo sfondo.

C’è un senso a tutta questa situazione? Forse no.
O forse sì.
Forse sì, se riusciremo a mettere a frutto gli insegnamenti che questa tempesta ci sta dando.
Forse sì, se riusciremo a manifestare questa voglia di fraternità e di comunità che abbiamo riscoperto in questi giorni.
Forse sì, se riusciremo a rispettare il mondo che ci ospita.
Forse sì, se riusciremo a continuare ad alimentare questo senso di solidarietà.
Forse sì, se riusciremo a capire che un’egoistica solitudine non porta a niente.
Forse sì, se riusciremo a capire che invece non siamo soli e che insieme si possono affrontare meglio le difficoltà.
Non sappiamo come sarà il nostro dopoguerra, al momento non sappiamo nemmeno se lo vedremo e quando questa guerra finirà.
Non sappiamo se, passata la paura, prevarrà quello che stiamo imparando o se ognuno riprenderà a far finta di niente e di nessuno, esattamente come prima.
Se ne usciremo, ne usciremo cambiati.
I cambiamenti portano con sé dubbi, paure, ma anche curiosità, stimoli, nuove energie.
Sicuramente non sarà facile. Tutto quello che stiamo vivendo adesso ne è la prova e noi dobbiamo tentare di interpretare questi tempi affinché siano migliori quelli che verranno.

Pensavo a molti hashtag nati a seguito del virus: portano con sé fiducia, speranza, amore.
Non ho potuto fare a meno di pensare ad altre tre parole: Fede, Speranza, Carità.

In attesa di nuove strette di mano e di nuovi abbracci, nuove vite vengono al mondo.

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