giovedì 29 novembre 2018

L'angolo d'infanzia - Quinta parte


Quando sentivi gli altri ragazzi parlare delle loro avventure, te ne stavi sempre in silenzio senza fiatare. Poi, quando loro ti chiedevano delle tue, rispondevi sempre che non avevi niente da raccontare.

Oh, quanto avresti voluto avere qualcosa da dire! Quanto avresti voluto condividere con gli altri qualcosa di bello, invece di tacere per non esternare la tua solitudine. Vedevi tutto buio, ma non perdesti la speranza che presto qualcosa di bello sarebbe capitato anche a te.

Forse per questo motivo ti rimasero impresse nella mente alcune parole di una canzone dei Matia Bazar: C'è tutto un mondo intorno che gira ogni giorno e che fermare non potrai. E viva viva il mondo tu non girargli intorno ma entra dentro al mondo. Dai!

E così decidesti di fare. Ti convincesti che pensare in maniera positiva potesse aiutarti e che mostrarti agli altri sorridente, propositivo e allegro, ti potesse rendere anche più simpatico.

Ti ci volle un po’ di tempo, per te non fu affatto facile, e qualcosa cambiò quando conoscesti una ragazza carina che, dopo un po’ di tempo di corteggiamento, divenne la tua fidanzata.

Love is the light, scaring darkness away – yeah, I’m so in love with you, purge the soul. Make love your goal. The power of love… 

Sembrava che i Frankie Goes to Hollywood avessero scritto quei versi per te: l’amore che è la luce, che diventa la meta, la forza dell’amore!

Dopo un periodo trascorso nel grigiore, chiuso in te stesso, quella ragazza ti aprì le porte del mondo. Ritrovasti la voglia di giocare, protagonista di interminabili tornei di ping-pong, di tennis e di calcio. Ti piaceva trascorrere la sera del sabato, insieme ai tuoi amici e alla tua ragazza, passando da un gioco di società ad un altro. La musica ti appassionava a tal punto che facesti un provino ad una radio, diventando, per un po’ di tempo, un dj radiofonico. Ti divertivi anche con la scrittura: ogni cartolina che spedivi dalle vacanze diventava qualcosa di originale, non uno scontato saluto.

Come Dalla e Morandi, anche tu potevi cantare Vita in te ci credo, le nebbie si diradano.

Attraverso quel modo di giocare riuscivi a sdrammatizzare la vita stessa, dando importanza a quello che veramente contava e aveva valore per te. Fu proprio questa riflessione che ti fece prendere coscienza della piattezza della tua vita: tutto sembrava trascorrere in maniera regolare, erano arrivati famiglia e figli, ma dentro di te mancava ancora qualcosa. Ti vergognavi quasi ad ammetterlo.

Una domenica in chiesa, ascoltando una lettura, capisti cosa ti mancava: Dio.

I've tried to go on like I never knew you. I'm awake but my world is half asleep… But without you all I'm going to be is incomplete.

Le parole che cantavano i Backstreet Boys sembravano parlare di quel tuo sentimento tutto nuovo. Avevi provato ad andare avanti come se non lo avessi mai conosciuto, eri sveglio ma il tuo mondo era mezzo addormentato e, senza di Lui, tutto ciò che avevi intenzione di essere era incompleto.

Riscopristi la fede. Adesso ti sentivi completo. Tutto cambiò.

domenica 25 novembre 2018

L'angolo d'infanzia - Quarta parte


In occasione dell’ultimo giorno di scuola facesti quello che non avevi mai fatto: invitasti tutti i tuoi compagni di classe a casa tua. Volevi dare una festa per festeggiare la fine dell’anno scolastico, ma tutti risposero che non sarebbero venuti. Tutti, tranne la ragazza per la quale avevi preso una bella cotta.

«Guarda che non devi sentirti obbligata», le dicesti.

«No, che dici, ci vengo volentieri», replicò.

«E come verrai a casa mia? Prenderai l’autobus?»

«In qualche modo farò».

Ti guardò e, sorridendo, se ne andò.

Quella notte non riuscisti a chiudere occhio. Provasti e riprovasti a immaginare quello che avresti fatto, quello che le avresti detto. Eri talmente emozionato che decidesti di alzarti per andare nel tuo rifugio. Avevi già infilato le ciabatte quando, con un barlume di lucidità, ti ricordasti che non c’era più, rimpiazzato da un garage, freddo come il metallo di cui era fatto, che ti aveva reso nomade per molto tempo.

La mattina seguente ti guardasti allo specchio.

«Che schifo, non le piacerai di certo con quella faccia», ti dicesti guardando le enormi borse sotto gli occhi che stavano lì, livide, a testimoniare la tua notte insonne.

Il pomeriggio arrivò e l’ansia per l’attesa di quella visita era alle stelle. Non c’era più nessuna festa da fare, ma qualche ora da trascorrere insieme, tu e lei.

Sentisti il rumore di una Vespa che si avvicinava.

«Eccola».

Ti precipitasti fuori ad attenderla, ma quello che vedesti di lì a poco ti lasciò basito, perché non era arrivata da sola, ma accompagnata da un vostro compagno di classe.

«Ciao», ti disse scendendo.

«Ciao!» disse di nuovo non ricevendo nessuna risposta da te.

«Ciao», ti disse anche lui.

Ma a te vennero fuori soltanto poche parole: «Vattene, non c’è niente da festeggiare!»

Ti rivolgesti a lei, senza curarti di lui, poi ti girasti e ti incamminasti verso casa.

«Ma cosa dici, sei impazzito?» disse lei dopo un attimo di smarrimento. «Dove vai? Guarda che non è come pensi! Lui è stato gentile ad accompagnarmi. Mi ha soltanto accompagnato. Ehi! Girati! Ascoltami!»

Ma, non ottenendo nessuna reazione da parte tua, concluse: «Vai al diavolo, vai! Sei uno stupido ragazzino!»

Non ti girasti e non rispondesti. Un gesto della mano parlò al posto tuo. Non sentivi nemmeno più le parole che lei e lui ti gridavano dietro. Sentisti soltanto il rumore della Vespa che ripartì pochi istanti dopo.

Per anni, in seguito, ti sei chiesto che cosa sarebbe accaduto se l’avessi ascoltata.

giovedì 22 novembre 2018

L'angolo d'infanzia - Terza parte


Un giorno tuo padre convocò tutta la famiglia per comunicare una notizia.

«Presto anche noi avremo una macchina. Sono andato in città e ne ho comprata una. È bellissima, di colore grigio metallizzato ed è molto adatta per le nostre necessità».

«Ma babbo, tu non hai la patente», replicasti.

«La prenderò», rispose in maniera perentoria. «Mi sono stancato di essere accompagnato dagli altri o di portare te o tua madre sulla sella posteriore del motorino!»

Lo disse guardandola negli occhi e a te parve che i loro sguardi, per un attimo, si accarezzassero.

«Dovremo fare una rimessa», riprese.

«E dove la facciamo?» domandasti.

«In realtà non dobbiamo costruirne una nuova, ma fare un garage al posto della capanna della legna», rispose.

«Non è giusto!» gridasti. E scappasti via, di corsa, senza voler sentire nessuna ragione. In pochi secondi raggiungesti il tuo rifugio e, con un movimento acrobatico che conoscevi a memoria, balzasti dentro alla tua trincea, questa volta per difenderla. Da un po’ di tempo dovevi fare più attenzione del solito nell’effettuare quel salto, perché avevi l’impressione che quel luogo si fosse fatto più piccolo ed era molto facile graffiarsi o sbattere da qualche parte.

Tuo padre ti chiamò varie volte, poi decise di lasciarti il tempo per farti sbollire la rabbia.

Tirasti fuori dalla scatola un mangianastri e infilasti una cassetta. Premesti il tasto PLAY e alzasti il volume al massimo. Iniziò una canzone di Patrick Hernandez che stava spopolando nelle discoteche e che era molto ballata anche nelle feste in casa: It’s good to be alive, to be alive, to be alive, it’s good to be alive.

Quelle parole sembravano prendersi gioco di te. Spengesti tutto e lasciasti che il mondo restasse fuori.

Non riuscivi a immaginare che uno stupido garage prendesse il posto del tuo rifugio. Per te non era una semplice rimessa di legna, ma un luogo capace di abbracciarti e coccolarti, che di tanto in tanto dovevi rimodellare per renderlo nuovamente accogliente dopo che altri pezzi venivano accatastati per rimpiazzare quelli utilizzati per scaldare le fredde giornate d’inverno.

Con l’auto, arrivò anche un nuovo impianto di riscaldamento alimentato a gas, così la legna e il tuo rifugio se ne andarono insieme.

Il giorno in cui avvenne tutto questo tu eri in gita scolastica, ma prima di partire prendesti la tua macchinetta fotografica. C’era solo uno scatto disponibile in quel rullino. Con attenzione, per non sciuparla, scattasti la foto al tuo rifugio.

Al tuo rientro non c’era più niente e provasti un gran vuoto.

Quella foto in bianco e nero, un po’ ingiallita dal tempo, giace nella soffitta, in uno scatolone che non hai più aperto dopo l’ultimo trasloco.

venerdì 9 novembre 2018

L'angolo d'infanzia - Seconda Parte


Il grido di tua madre ti risvegliò.

«Dai, smetti di giocare e vieni in casa a fare i compiti!»

«Mi sono addormentato», pensasti. «Ma quanto tempo ho dormito?»

«Arrivo subito, metto a posto una cosa e vengo!» rispondesti a tua madre.

Non lo dicesti così, tanto per dire, dovevi sistemare veramente alcune cose.

In quella baracca fatta di plastica e tenuta in piedi da pali e travi di castagno, montata da tuo padre per riporvi la legna da ardere, avevi costruito la tua trincea. A te bastava stare seduto lì dentro, circondato da tanti pezzi di legna, per sentirti al sicuro e per lasciare spazio alla tua fantasia.

Lì giocavi, sognando le avventure più impensabili. A volte immaginavi di essere a bordo di una navicella spaziale, altre di essere al volante di un’auto da corsa. Lì cominciasti a scoprire la musica, ascoltandola alla radiolina gialla che tuo padre aveva comprato da un venditore ambulante. Era più piccola della tua mano, ma a te, che non ne avevi mai viste prima, sembrava qualcosa che provenisse dal futuro. Lì, ascoltando le partite la domenica pomeriggio, fantasticavi di diventare un calciatore.

Lì ti facevi coraggio per dichiarare il tuo amore a quella bambina che piaceva anche a tutti i tuoi compagni di classe. Lì speravi che lei, dopo aver guardato tutti, rispondesse “Sì” rivolgendosi a te, soltanto a te. Lì sognavi di stare su una spiaggia con lei, accoccolati ad ascoltare il mare, proprio come cantava Claudio Baglioni in quella canzone che era nella hit parade e che ti piaceva tanto.

Prendesti la radiolina, alcuni giornalini a fumetti e li riponesti in quella vecchia scatola da scarpe che tua madre, invano, aveva tanto cercato. Poi nascondesti tutto con cura sotto uno strato di legnetti.

«Ma insomma, quante volte devo ripetere le stesse cose?» incalzò tua madre.

«Arrivo!»
Con un balzo scendesti e ti avviasti verso casa, dove un quaderno, un sussidiario e un astuccio con tante matite e qualche penna ti stavano aspettando.

giovedì 1 novembre 2018

L'angolo d'infanzia - Prima parte

«Scappa, non devono raggiungerti!»

Ripetevi queste parole dentro di te mentre correvi a perdifiato attraverso i campi per raggiungere il tuo rifugio. Ogni tanto ti voltavi indietro per vedere se i tuoi inseguitori si fossero avvicinati. Non vedevi nessuno, ma non rallentavi la tua corsa. Come in una danza, ti abbassavi per schivare i rami alti delle piante e poi saltavi per non sentire la frustata di quelli in basso nelle tue gambe nude.

Ti sembrava di non arrivare mai. Correvi a testa bassa, guardando i tuoi piccoli piedi dimenarsi, con la terra che entrava dagli occhi dei tuoi sandali blu. Più forte correvi, più forte sentivi il tuo cuore che batteva all’impazzata, quel cuore che batteva così solo per quella bambina che a scuola era nella tua stessa classe, quel cuore che batteva così quando lei ti salutava con la sua flebile voce.

Il fiato si faceva sempre più grosso, ma la meta si avvicinava sempre più, ormai era alla portata dei tuoi occhi, bagnati da calde gocce di sudore che scendevano dalla tua madida fronte.

Eccolo! Finalmente il rifugio era lì. Entrasti di corsa e spiccasti un balzo per afferrare la trave, una mezza piroetta e ti ritrovasti al sicuro, seduto in quella buca scavata fra tanti pezzi di legna, tagliati uno ad uno dalle braccia forti e vigorose di tuo nonno. Nessuno adesso poteva vederti, nessuno poteva trovarti. Non c’era più paura.

Rimanesti ad occhi chiusi per alcuni minuti. Non sentivi rumori fuori. I tuoi inseguitori erano stati seminati. Il cuore tornò a battere regolarmente ed il respiro fece di nuovo pace col tuo corpo.
Il silenzio, poi una sensazione di pace.