sabato 30 marzo 2024

Pasqua 2024

 La borsetta 

 

Ho sempre rovinato tutto nella mia vita.

Avevo un lavoro, ma ho combinato dei casini e l’ho perso.

Quando tornai a casa, mio padre era seduto al tavolo di cucina. Mi guardò male e mi disse: «Vai in camera tua e rifletti.»

Era un uomo tutto d’un pezzo, non avrebbe sopportato la vergogna.

Mi raggiunse in camera. Entrò senza bussare. Io non avevo ancora capito che cosa significava il gesto che avevo fatto, ma lui lo sapeva.

Mi aspettavo una scenata, delle urla e invece mi disse di non rifarlo più.

A quelle parole, mia sorella, che nel frattempo era giunta alle sue spalle e stava ferma sulla porta, rimase incredula ed impietrita, scosse la testa per manifestare il suo dissenso e fuggì via sbattendo il portone di casa.

Mio padre non fece in tempo a dirle niente. Accusò il colpo e se ne tornò in cucina.

Se ci fosse stata mia madre, avrebbero discusso di questa situazione. Ma lei era morta alcuni anni prima.

Mia sorella rincasò tardi quella sera. Disse a mio padre che non poteva accettare quel suo comportamento. Il giorno successivo sarebbe andata a vivere col suo fidanzato.

Io ascoltai la loro conversazione perché avevo lasciato la porta di camera aperta, ma questo non potevo permetterlo. Uscii e di corsa raggiunsi la stanza dove loro stavano parlando. Mi sorprese questo fatto: stavano parlando. Io lo avrei fatto con molta veemenza, urlando ed arrabbiandomi, forse sbattendo i pugni sul tavolo.

Il mio impeto si attenuò trovandoli entrambi seduti a conversare come se stessero al bar a bere un aperitivo.

Mia sorella era rossa in faccia e faceva di tutto per trattenere la sua rabbia. Non trovava giusto che io non avessi ricevuto nemmeno un rimprovero da parte di mio padre. Io la capivo, avrei avuto la sua stessa reazione.

Mio padre non perse la calma e cercò di spiegarle il motivo di quel suo comportamento.

Fui io a rompere gli indugi.

«Non andrai via tu, Teresa» dissi rivolgendomi a mia sorella. «Sarò io ad andarmene.»

Fu così che a ventinove anni mi ritrovai sulla strada, senza un soldo e senza un lavoro.

Mio padre tentò invano di farmi cambiare idea. Mia sorella disse che sarebbe andata via ugualmente, ma poi non lo fece.

Nei giorni successivi cercai di immaginare lo stato d’animo di mio padre. Forse sarebbe morto di crepacuore.

Io ero diverso, per morire di crepacuore bisogna averlo un cuore, ed io non ne ho mai avuto uno.

Ormai avevo l’aspetto dei clochard, ma senza la loro dignità.

Mi aggiravo vagando come un morto vivente fra le strade della città in cerca di un po’ di cibo da estrarre dai cestini dei rifiuti.

Mi vergognavo di me stesso e se mio padre mi avesse visto in quelle condizioni... Per non parlare di mia sorella. Lei avrebbe fatto finta di non conoscermi.

D’un tratto notai una bella signora all’interno di un bar. Non entrai, non potevo farlo in quello stato. Mi avrebbero buttato fuori a calci.

Decisi di andarmene e di ritornare il giorno successivo, dopo essermi dato una lavata ed una ripulita.

Lo feci per vari giorni e durante quei giorni passai sempre davanti a quel bar, senza trovare il coraggio di entrare.

Lei, ogni giorno, alla stessa ora, era lì dentro.

Per me le cose non erano cambiate, ero soltanto un po’ più presentabile, ma lo stomaco era ancora vuoto. Forse lì avrei potuto procurami qualcosa, ma non avevo soldi. A stento stavo in piedi e il dolore della fame era più forte dei giorni precedenti.

Decisi di entrare in quel bar.

La porta si chiuse dietro di me. C’era un allegro brusio, la gente parlava e rideva, ed ogni tanto sorseggiava qualcosa da lunghi bicchieri. Qualcuno cercava di infilzare un’oliva con uno stecchino per portarla alla bocca, ma non sempre ci riusciva.

domenica 17 marzo 2024

L'epoca delle barricate

Un ricordo apparso sul mio profilo di un social, mi ha fatto tornare alla mente un periodo, non troppo lontano, in cui eravamo tutti spaventati da un virus che minava la nostra vita.

Eravamo rinchiusi in casa ed ogni mezzo sembrava buono per rimanere in contatto con gli altri, sentirci vicini e, se possibile, infondere fiducia e coraggio. 

La gente cantava dai balconi e chi sapeva suonare lo faceva dalle terrazze dei palazzi.

E quelle esecuzioni, non ho mai pensato che fossero esibizioni, aiutavano a non pensare al peggio per qualche minuto. Lo facessimo oggi ci porterebbero via con la camicia di forza.  

Quella paura ci univa e tutti riscoprimmo un po' della nostra umanità.

Poi la paura svanì.

Mi domando: cosa ci è rimasto di quel periodo? 

E, soprattutto, cosa ci è rimasto di quello che abbiamo appreso da quel periodo?