Io ero molto bravo ed anche Riccardo era molto sveglio, anche se ogni tanto approfittava della mia bravura per… attingere. Formavamo una bella coppia e spesso riuscivamo a fare i compiti a scuola, in modo da avere più tempo nel pomeriggio per giocare a pallone al campino. A calcio lui era un vero e proprio asso, io un po’ meno, ma me la cavavo. Inventavamo dei veri e propri tornei, con tanto di nomi assegnati alle squadre: Nespolo, Chiodo, Bollacchione, e così via; per ogni giocatore avevamo perfino fatto le tessere di appartenenza al Club. Che organizzazione ragazzi!
Alla fine della quarta ci fu un vero e proprio scossone. In quegli anni c’eravamo affezionati tutti quanti alla nostra insegnante: era brava, buona, calma, mai un rimprovero fuori posto o un urlo di troppo per richiamarci al dovere. Era quanto di meglio si potesse desiderare.
L’ultimo giorno di scuola, però, ci disse che, per motivi familiari aveva chiesto il trasferimento a Pescia e che ci avrebbe lasciati.
La notizia ci lasciò di sasso; eravamo attoniti, storditi, ammutoliti. Furono attimi di intenso silenzio. Mi ricordo che nessuno ebbe il coraggio o la forza di muoversi o dire qualcosa, finché fummo risvegliati bruscamente dal pianto di Anna, una bambina molto sensibile e dalla lacrima facile. Di colpo quasi tutta la classe si mosse contemporaneamente, uscendo dal proprio banco per andare ad avvolgere la maestra Carla nel più caldo degli abbracci. Forse nemmeno lei aveva immaginato che le volessimo tanto bene, così si commosse.
La situazione stava diventando pesante, c’era troppa commozione nell’aria. Ci voleva un cambiamento di rotta perché in fondo era l’ultimo giorno di scuola e bisognava pur essere contenti. L’estate era alle porte e le vacanze ci attendevano, non si poteva solo piangere. Allora, per rompere quella scena da libro Cuore, gridai: “Viva la maestra Carla!”
Altri ragazzi seguirono il mio esempio, la commozione si trasformò in sorriso e cominciammo a saltare con le braccia alzate, finché la campanella, l’ultima di quell’anno, suonò.
All’inizio della quinta avevamo una nuova insegnate, la Signora Fedi, una donna molto alta, bionda, con una vocina piccola e stridente, ma che quando urlava si faceva intendere a meraviglia. Non ci fece una grande impressione e non ci legammo a lei.
Ci incuteva timore, forse più per il suo aspetto fisico che per la sua severità. Era burbera, scontrosa, sempre con la faccia triste: “Hai visto? Ha il muso lungo anche stamattina” era il nostro commento. Abbiamo sempre pensato che quel suo caratteraccio dipendesse dal fatto che era sola, senza un fidanzato, un marito; una “zitellaccia”, pensavamo noi, parola che ci sembrava perfetta per lei, poiché riassumeva in sé lo stato civile e il carattere di una persona.
Quell’anno facemmo molta attività teatrale. Io e Riccardo eravamo molto bravi a scrivere il copione delle recite e degli spettacoli dei burattini. Avevamo fantasia, inventavamo storie e dialoghi che erano molto apprezzati da tutte le insegnanti che li leggevano. Il riconoscimento per questa nostra bravura era quello di essere i protagonisti principali dello spettacolo, quando questo veniva messo in scena.
Fu molto bello quello che facemmo per la festa di Carnevale. C’erano tutte le classi riunite nel salone della scuola, tutti i ragazzi stavano seduti come al cinema, e noi, in cima, stavamo su un palco approntato alla meno peggio, senza quinte, o per meglio dire, senza niente.
La nostra era una classica storia di quelle che ci raccontavano i nonni: il principe, la principessa, il cattivo, l’eroe che salva tutti, … e vissero felici e contenti. Ma la cosa che mi rendeva orgoglioso, oltre ad averla scritta per la maggior parte, era l’aver interpretato l’eroe che salvava tutti.
Alla fine dello spettacolo mi sentivo davvero un eroe dalla contentezza.
“Bravo, sei stato bravissimo!” gridava la Fedi per farsi sentire mentre mi veniva incontro. Appena fu vicina, mi abbracciò e mi dette un bacino sulla guancia. “Diamine” pensai. “Vuoi vedere che ha trovato il fidanzato?”
A questo mio pensiero non ricevetti mai una risposta.
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