Ma come? E’ già finito?
Sì, è già finito.
La mia mente ripercorre questi mesi di prove, passati
troppo rapidamente, e se ne va all'indietro, quando questo lavoro cominciò ad
essere pensato: ero appena uscito, non senza ferite, dal lavoro precedente.
Lo avevo pensato per tre protagonisti. Ma poi provai
ad immaginare a come sarebbero stati gli incontri delle prove e questo pensiero
già mi metteva dentro solitudine e tristezza. Allora ricavai altri ruoli per
creare un gruppo e non un trio. E’ così che è nata una bella squadra, ridotta
rispetto alle esperienze precedenti e rinnovata in tanti elementi.
Prova dopo prova, avvertivo sensazioni positive.
E così siamo arrivati allo spettacolo.
Certo, non senza qualche ansia. Una, ad esempio, era
quella legata all'uscita del libro da presentare. Proviamo ad immaginare una
presentazione di un libro che non c’è. Ma il sabato mattina è arrivato, e allora,
come dissi alla persona dal quale lo ricevetti: “Noi siamo pronti, solo gli
imprevisti ci possono fermare!”
Ma di imprevisti, questa volta, non ce ne sono stati.
La giornata è iniziata presto per me, con i preparativi
della mattina. Poi sono andato a cantare col coro durante la Messa. Infine, chiesa
messa sottosopra e via al montaggio della scenografia. Alla fine sarà
bellissima, con un caminetto che in molti hanno ritenuto vero.
Con un leggero ritardo abbiamo iniziato la prova
generale. Una breve pausa alla fine, giusto il tempo di cambiarmi e mettermi il
“costume”, ed era già tempo di inizio.
Avevo un leggero batticuore, ma le prime note della
sigla mi hanno caricato e sono entrato con la voglia di giocare. Sì, di
giocare. Non avevo provato interamente la mia parte, e così ho improvvisato qualcosa,
quel tanto per ben predisporre il pubblico e sdrammatizzare un po’. Il personaggio
da presentare, Don Paolino Contardi, è uno di quelli che pesa, per certi versi un
esempio ingombrante, anche per i suoi “colleghi”.
E il libro “Memorie” non è altro che la raccolta dei
suoi tanti appunti presi durante il periodo trascorso come sacerdote a
Montemurlo.
Poi è arrivato il momento della preghiera. Tutti gli
attori si sono schierati in linea tenendosi per mano, il pubblico in piedi e… “Padre
nostro…”. Sono riuscito a dire le prime due parole, poi ho proseguito
sottovoce. Ai più, forse, è potuto sembrare il segno di inizio, ma in realtà ho
abbassato la voce per non far sentire che ogni tanto… si rompeva.
E poi la sigla della rappresentazione, le immagini
che l’accompagneranno per tutta la durata, le canzoni, la poesia, l’orchestra
invisibile formata da tre chitarristi, gli attori, quelli che parlano e quelli
che si muovono, e fra questi due magnifiche bambine alle quali sono particolarmente
affezionato.
Ed io? Io sono rimasto dietro a godermi le loro
gesta, aspettando il turno di dover dare voce, solo la voce, a Don Paolino. Con
il copione in mano, ormai un po’ spiegazzato e consumato, alzavo ogni tanto lo
sguardo all'insù per godermi le immagini e poi verso il tecnico del suono per avere
la conferma che tutto stesse procedendo bene. Quando i personaggi rientravano
dalla loro performance, esultavo in silenzio con strani versi da… stadio.
Eppure c’è stato un momento in cui mi sono sentito
solo. Alla fine, sulla canzone finale, tutti sono rientrati sul palco. Ecco, è
stato lì. Dietro ero rimasto solo io e i tecnici del suono e delle immagini, peraltro
due amici. Ma i compagni di questa avventura, quelli delle serate trascorse a
provare, cercando le soluzioni alle varie situazioni cambiando ove necessario,
quelli che mi hanno sopportato, adesso erano tutti sul palco. Lo so, dovevo
solo aspettare solamente un paio di minuti, il tempo che finisse l’ultima
strofa della canzone, e poi li avrei raggiunti per presentarli sul pezzo
musicale finale.
Li ho raggiunti, ma ho preferito presentarli solo a
musica finita. Desideravo che l’attenzione fosse solo per loro che, insieme a
tutti quelli che hanno lavorato nell'ombra, hanno reso possibile la riuscita
dello spettacolo, donando il loro tempo e la loro disponibilità per far
conoscere, di più, una persona che a Montemurlo ha dato tanto.
Tutto rose e fiori, dunque? No, ma questa volta ho
voluto gettare all'angolo le delusioni. Gettarle via, come quel copione
lanciato per aria alla fine. L’ultimo.