domenica 9 gennaio 2011

Quattro passi... con Ben - Ventiseiesima puntata

L’anno scolastico stava terminando, le ultime fatiche e gli ultimi compiti ci attendevano.
I professori si davano un gran daffare per completare i programmi, mentre noi alunni pensavamo già alle vacanze. Prima, però, c’era da organizzare il pranzo di fine anno, che era un rituale a cui nessuno voleva rinunciare. Mirella ebbe un’idea geniale, degna di lei e della sua intelligenza superiore.
“In Sant’Andrea, la mia parrocchia, c’è uno stanzone molto grande, dietro la chiesa. È attrezzato, con tavoli lunghi e sedie, inoltre c’è anche la cucina. Perché non lo facciamo lì il pranzo e cuciniamo tutto da noi? Conosco il parroco e sono sicura che ci darà la stanza.”
L’idea piacque a tutta la classe. Così l’ultimo giorno di scuola, dopo i saluti di rito, ci ritrovammo tutti alla chiesa e cominciammo a preparare il pranzo. Ognuno di noi aveva portato qualcosa: acqua, bibite, crostini, piatti, bicchieri, e così via. Lì cucinammo la pasta e preparammo i secondi. Cose semplici, ma fatte in quel contesto sembravano veramente speciali. Ognuno di noi dette il massimo: le ragazze sembravano tutte cuoche professioniste, e con i loro grembiuli addosso sembravano delle vere donne. Noi maschi facevamo invece le cose di fatica, come preparare la tavola, sistemare le sedie, apparecchiare, preparare le bottiglie. Gigi, abituato come era a fare il cameriere alla pizzeria dei Ferrovieri, mostrò tutto il suo valore in quei frangenti e ci insegnò anche a sistemare le posate nel modo corretto.
Fu molto bello. Anche quella giornata terminò in gran fretta. Tutto quell’anno terminò velocemente, mentre avrei voluto che fosse il più lungo possibile.
Dei professori ho un ricordo particolare della Dora, l’insegnante di calcolo computistico. Lei era informale, simpaticissima, voleva che le dessimo del “tu”, era molto brava e ci insegnò molto.
Il giorno dei risultati arrivò. Non ci furono grandi sorprese. Ognuno di noi ottenne ciò che si aspettava, compresi quelli che sapevano di essere bocciati. Io fui, ancora una volta, il primo della classe, con la media del sette e mezzo. Solo Mirella tenne il mio passo, e fu seconda solo perché io presi un voto migliore del suo a Educazione Fisica. Praticamente avevamo la stessa pagella.
Quel giorno non riuscii a rivedere tutti i compagni di classe, perché arrivammo e ripartimmo alla spicciolata, per cui non riuscii a salutare tutti come avrei voluto.
Pieni di entusiasmo per l’anno che era terminato e per le vacanze che stavano iniziando, ci salutammo con quei modi di dire che si usano nella maggior parte dei casi senza riflettere, ad esempio:
“Ti saluto, tanto poi ci vediamo” oppure “Tanto poi ci sentiamo.”
Con la maggior parte di loro si disse in quel modo, con la maggior parte di loro non mi rividi, né mi risentii.

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