La nuova disposizione dei banchi, non più a coppia ma disposti su tre lunghe file orizzontali, favorì la conoscenza di altri ragazzi. Mi ritrovai fra Maurizio e Roberta. Riccardo aveva scelto Andrea, una fila più avanti.
Maurizio non andava molto bene e spesso mi chiedeva di suggerirgli. Era un ragazzo molto divertente e buffo. Ridevamo molto, cercando ovviamente di non farci vedere, ma era difficile e fummo scoperti; così ci separarono e mi trovai di nuovo accanto a Riccardo e Andrea. Le cose cominciarono ad andare per il verso giusto. Eravamo più grandi e ricominciammo a frequentarci anche a casa, dove studiavamo un po’, e poi via, di corsa a giocare a pallone; Andrea era una vera e propria frana, lui amava andare in bicicletta, infatti più tardi si sarebbe dato al ciclismo. Perdeva sempre nei nostri incontri uno contro uno, mentre il vincitore era sempre Riccardo, che forse ancora oggi gioca a calcio. Io, che non avevo dribbling (i tecnici la chiamano mancanza di personalità), vincevo con Andrea e perdevo da Riccardo.
Quando un giorno il professore di Educazione Tecnica ci chiese di fare un lavoro in legno, noi tre decidemmo di costruire uno stadio di calcio. Il nostro modello era San Siro: campo centrale, tribune a forma rettangolare disposte su due piani. Ci sembrava facile da realizzare e cominciammo a fare il disegno. Io mi divertivo molto a disegnare stadi: ovali, rettangolari, rotondi come il Maracanà di Rio de Janeiro. Disegnare San Siro fu un gioco da ragazzi. Adesso bisognava trovare il legno. Ce ne occorrevano alcuni fogli. Andammo così alla ricerca del compensato.
Con le nostre biciclette, in fila indiana per le stradine di campagna, andammo a Sant’Agostino a cercare una falegnameria ben fornita di cui avevamo sentito parlare.
La trovammo, ma non ci dettero ascolto, perché lavoravano grossi quantitativi per altre aziende e falegnami; figuriamoci se potevano prendere in considerazione tre mocciosi come noi.
Eravamo quasi sul punto di desistere quando una voce ci richiamò. “Ehi!” disse un signore con una barba lunga cinquanta centimetri ed un pancione grosso e rotondo, molto somigliante a Mangiafuoco di Pinocchio. “Ehi, ragazzi, venite qua, forse ho quello che fa per voi. Ho qui due fogli di compensato che a noi non servono. Sono un po’ ingombranti, ma forse ce la fate a portarli via. Ve li regalo.”
Era quello che ci voleva. Adesso avevamo il problema di trasportarli a casa.
Provammo a piedi con il compensato legato alla bicicletta, ma non funzionava molto. Erano troppo grandi, più o meno come un finestra. Facemmo alcune centinaia di metri quando la fortuna ci venne incontro. Per quella stradina stretta e deserta in mezzo alla campagna, passò un contadino che mi riconobbe.
“Tu sei il figlio del barista” disse. “Dove state andando con quel paravento più grosso di voi?”
“Al Poeta, a casa sua” risposi indicando Andrea.
“Continuate, che fra poco arrivo.”
Dopo alcuni minuti sentimmo un rumore di motore, con qualcosa che scuoteva quando passava sopra le buche della strada. Era il contadino, con il suo trattore ed il rimorchio dietro.
Ci sorpassò e si fermò.
“Adesso vi porto tutti al Poeta. Sistematevi in prima classe!” disse aprendo le sponde del rimorchio.
In un attimo salimmo sopra, con le biciclette ed il legno. Il trattore partì e ci portò a destinazione. Ringraziammo il contadino per la sua bontà. Cominciammo a lavorare e in poche volte lo stadio fu costruito.
Eravamo proprio in gamba noi tre.
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