La voglia di nuove avventure e conoscenze si faceva sempre più forte.
Andrea aveva sentito parlare di una discoteca, il JB, dove ci si divertiva molto. Anch’io ne avevo sentito parlare da altri ragazzi che frequentavano il circolo del Nespolo.
Andrea e Riccardo ci andarono e rimasero entusiasti. I miei genitori, invece, non mi permettevano di andarci, dicendo che non era un ambiente sano, che avrei potuto incontrare persone sconosciute di cui non c'era da fidarsi.
Per dire la verità le discoteche non mi sono mai piaciute, ma non potevo rimanere tutte le domeniche da solo. Così una domenica mi decisi. Convinsi i miei genitori e con Andrea e Riccardo prendemmo l’autobus per andare al JB.
Era la prima volta che entravo in una discoteca. Era tutto buio, con poche luci colorate che andavano a ritmo di musica, musica che era a tutto volume. Un sacco di gente che ballava e che sudava. Non riuscivo a capire una parola di quello che mi veniva detto e non riuscivo a farmi sentire, a causa della mia voce. Non vedevo l’ora di andarmene. Non mi divertii per niente e quando fui a casa fu come una liberazione. Ci ritornai poche altre volte ed anche in futuro ho sempre frequentato poco le discoteche.
Intanto le radio locali e le feste in casa si stavano moltiplicando.
Ci piaceva ascoltare i programmi radiofonici, quelli in cui si facevano le dediche, magari con la speranza che ce ne fosse una per noi. Incominciammo a pensare di fare una festa in casa, così racimolammo uno stereo, dei dischi e colorammo delle lampade con le tempere. Non ci restava altro che chiedere un po’ di spazio in casa di qualcuno di noi ed invitare alcuni amici ed alcune amiche.
La prima festa fu a casa mia, in un pomeriggio piovoso.
Avevamo sistemato la cucina a regola d’arte. Togliemmo il tavolo dal centro, sistemammo le sedie ai quattro lati, mettemmo le luci agli angoli della stanza ed il banco con lo stereo da una parte. Per casse avevamo collegato le radio al giradischi e tutto funzionava a meraviglia. Il cibo e le bibite erano pronte. C’era tutto. Giunse l’ora dell’inizio, ma eravamo solo Riccardo, Andrea ed io. Era strano che nessuno si facesse vedere.
“A che ora hai fissato con gli altri?” chiesi ad Andrea.
“Alle tre” rispose seccato.
“Sono solo le tre e un quarto” disse Riccardo. “E poi sta piovendo, magari sono in ritardo per questo.”
Ad un certo punto sentimmo un’auto entrare nell’aia. Erano la Maria Grazia e la Silvana, detta Silvanina per la sua altezza.
Non arrivò nessun altro.
Cinque, eravamo solo in cinque. Ma che tipo di festa è una festa con cinque persone? Al massimo potevamo giocare a carte, con uno che guardava. Avevamo messo tanto impegno per cinque persone.
Eravamo delusi, ma non ci abbattemmo. E così lo stereo cominciò a suonare e noi cominciammo a ballare.
La Silvanina fu una vera scoperta: era scatenata e molto divertente. Maria Grazia, la cugina di Andrea, era più compassata ma altrettanto simpatica. Andammo avanti con musica e tramezzini per un paio d’ore e, quando i genitori tornarono a prendere i propri figli per riportarli a casa, ci salutammo.
“Bella festa” disse la Silvanina. “Mi sono proprio divertita, bravi.”
Non seppi interpretare quelle sue parole: diceva sul serio o voleva prendere in giro? Davvero si era divertita o lo aveva detto solo per pietà? Insomma, una festa con cinque persone poteva essere una bella festa?
Restammo con il dubbio, ma per pochi giorni.
Quelli che non erano venuti ci dissero in seguito che avrebbero voluto, ma non erano potuti venire, chi per un motivo, chi per un altro. Inoltre non avevano potuto avvertire perché non avevano trovato il numero sull’elenco telefonico. E come potevano? La mia famiglia non aveva il telefono.
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