Ho ricevuto dal mio amico Josil questo testo ed ho ottenuto il suo permesso per metterlo sul blog.
Lo ha scritto, come dice lui, in un momento di raptus seguito da irrefrenabile desiderio di scrivere qualcosa.
Quando si sguazza perennemente nel dubbio, non possono scaturire scelte sensate ma decisioni basate sull'improvvisazione ai limiti del teatrale e del bizzarro.
Le conseguenze sono esponenzialmente tanto più devastanti quanto più vi è mancanza di umiltà e incapacità ad ascoltare.
"Umiltà" non vuol dire sottomettersi, ma riconoscere i propri limiti con spirito critico, facendo in modo che l'ottusità mentale che ci limita, allenti un po' la presa.
Ascoltare non vuol dire "rendersi umili", ma rendersi "consapevoli" dell'importanza che riveste il riconoscere che il "tutto" non sta nel singolo.
Il "tutto" è l'infinito; e come tale è talmente vasto e "incomprensibile" che non lo si può né determinare, né tantomeno circoscrivere.
Tendenzialmente tutti pensano di risolvere "tutto" e questa è la spiegazione generica per la quale non lo si teme.
Ed ecco che in questo "non temerlo" entra in giuoco quella superficialità che ci contraddistingue e che se da una parte ci facilita perché ci porta a banalizzare, dall'altra ci rende poveri dentro.
Sì, perché questo "giuoco" del banalizzare, quando lo si usa troppo spesso, ti porta all' "assenza", e cioè al renderti estraneo dalle cose che ti circondano.
E quando quello che ti circonda ai tuoi occhi diventa "assente", o sei un fantasma, o diventi violento, o cominci a vacillare.
Il fantasma dicono che fa paura solo perché fin da piccoli ti viene raccontato come un'entità dalla quale fuggire; in realtà fa solo ridere a sé stesso e agli altri e in fin dei conti alla fine ne scopri la sua inutilità. Nelle rappresentazioni classiche è vestito solo con un semplice lenzuolo bianco, ma perché non nero? Forse è il segnale che già il suo ipotetico inventore lo aveva pensato "innocuo"? Sì, innocuo, inutile e, aggiungo io, "assente". E così da fantasmi ci muoviamo in un mondo che non ci appartiene. Ci viviamo sì, ma senza farsi troppe domande perché tanto non ha bisogno né di domande né tantomeno di risposte. Per questo risulta scostante agli occhi degli altri.
Il violento invece ha tutte le risposte in tasca sua. Peccato che per lui non ne esistano altre, e così tanto più è convinto delle sue idee quanto più le impone con modalità violenta.
Lui sì che spaventa (altro che fantasma)!!; uno che non ti lascia spazio su niente ed è talmente sicuro di sé che gli altri non esistono e possono essere così calpestati a piacere.
E chi invece vacilla? Di sicuro molti entrano in depressione, non si sentono compresi perché credono di essere loro i soli custodi della verità. Peccato che spesso non riescono a fare proseliti. Che tristezza... che fatica... chi ti sta intorno spesso ti evita perché non ne può più dei tuoi sermoni. Sì, perché se il violento fa paura, chi vacilla ti stressa.
Chi non entra in depressione è riuscito a costruirsi una "setta" propria con adepti che lo seguono, oppure si è costruito intorno una famiglia completamente alle sue dipendenze che lo asseconda in tutto ma lo vorrebbe morto.
Ma dunque, se sopra ho parlato delle conseguenze legate al "non temere il tutto" , allora cosa accade a chi lo teme o, diciamo meglio, a chi non lo banalizza?
Ci saranno anche qui fantasmi, violenti e vacillanti? Ma soprattutto, e se chi scrive è un vacillante?
Beh, il mio consiglio è... se pensi che lo sia, chiudi il foglio e brucialo.
Naturalmente proseguire o meno la lettura dipende solo da te indipendentemente da ciò che pensi che io sia, immagino.
Ma prova a chiederti: continui questa lettura perché sei "curioso?" , "umile'?", hai uno "spirito critico?".
Io personalmente non so cosa mi ha spinto a scrivere né tantomeno in questo preciso momento saprei dirti cosa scriverò ancora e soprattutto il perché. In questo momento sono confuso ma felice, come diceva la Carmen Consoli.
Chi teme il "tutto" solitamente in qualche modo vacilla ma con modalità diverse dal vacillante sopra rappresentato.
E così proverò a sintetizzare e dipanare in seguito ciò che mi viene in mente al momento:
- vacilla e barcolla ma non cade
- vacilla e ondeggia ma non cade
- vacilla e cade
Tutti e tre sono travolti pesantemente dalle mille domande e misteri dell'esistenza umana. Chi vacilla e cade ne viene schiacciato e annientato. Chi cade, non ha nessun appiglio, nessuno lo può aiutare perché non trova certezze né dalla scienza, né dalla fede.
Questo apparentemente "caso disperato" ritengo che sia invece il ritratto di molti di noi che ci facciamo sì le domande esistenziali, ma paradossalmente rispetto al "fantasma" che si é costruito un mondo tutto per sé nel quale vivere ma non è "confuso", chi cade nella consapevolezza che non ci si può sottrarre dalle questioni esistenziali, vive peggio del fantasma.
E che dire di coloro che ondeggiano? Sulle questioni esistenziali si sentono un po' atei quando serve esserlo e un po' credenti al tempo stesso (da qui il termine ondeggiare). Un mix che poi non risolve e non dico niente di nuovo, un mix che anche in questo caso crea confusione ma ti tiene su una "stampella" per non farti cadere e cedere del tutto.
Dunque a questo punto resta il pezzo forte. Quello che barcolla in effetti è quello che a mio avviso una decisione finalmente l'ha presa.
Ma sia che si tratti di scienza o di fede, la strada l'ha tracciata con la volontà di perseguirla superando gli ostacoli che incontra e credendoci fino in fondo. Di questi ce ne sono pochi ma è lì che dobbiamo cercare di arrivare tutti.
Eccomi qua, ho riletto tutto ciò che avevo scritto finora e mi è saltata subito in mente una considerazione. Ma se ero nato in un villaggio sperduto nella foresta amazzonica avrei ugualmente scritto quello che ho scritto? Direi proprio di no.
Già un lettore della mia stessa specie mi avrà dato di matto a leggermi, figuriamoci un ipotetico lettore di uno sperduto villaggio dell'Amazzonia cosa avrebbe pensato di me dopo queste poche righe.
Allora come funziona lì da loro? Di primo acchito ecco che mi viene in mente il "senso di appartenenza". In questi popoli il significato di stare insieme assume un’importanza che da noi ormai è solo a parole e non la ritrovi neppure nelle squadre di calcio.
Ecco come li vedo io e come credo che molti si immaginano; un solo popolo , un solo gruppo in condizioni difficili ma unito da quell'appartenenza senza la quale la vita sarebbe impossibile. Ma se poi vai a vedere anche lì, in popolazioni solo apparentemente "elementari" si scopre che l'appartenenza non è sufficiente; c'è un divino a cui riferirsi, sia esso natura (scienza) o divinità (fede).
Ma è giusto il termine "riferirsi" in questo caso? Ma cosa faccio: mi faccio le domande da solo? Oh oh... per questa volta passa.
Sì, perché ciascun popolo si riferisce a più divinità o a un dio unico chiamandolo con nomi diversi ma quello che è sorprendente è che non se ne può fare a meno.
Così almeno io penso di aver compreso che i problemi esistenziali inevitabilmente portano al divino.
E concludo come dice il grande Battiato:
... che siamo esseri immortali
caduti nelle tenebre, destinati a errare;
nei secoli dei secoli, fino a completa guarigione...
Grazie Josil.