Nel momento in cui il dolore altrui si è impossessato anche di te, Ben, tu non hai violato con le tue parole la loro sofferenza ma vi hai partecipato pienamente, trovando nello scrivere il tuo strumento di condivisione. Ciao
E cosa dire delle parole bellissime che Maria ha saputo trovare per descrivere il senso di vuoto, quasi di inutilità che la perdita della mamma ha lasciato nelle sue mani? Un'immagine commovente. Il dolore - proprio o altrui - si può descrivere, ma richiama altro dolore e richiede la volontà di sostenerlo. Un saluto
Maria sa sempre usare belle parole. Prima o poi ci stupirà tutti con un best seller.
Avete notato quanto è diversa, da una persona all'altra, la reazione al dolore? C'è chi si abbatte, chi cade in depressione, chi reagisce subito, chi si dispera, chi cede all'alcol o alla droga, chi... Cosa c'è alla base di reazioni tanto diverse? Una forza o debolezza interiore, la fede o la sua mancanza, una famiglia solida alle spalle, o cos'altro?
Buonasera ragazzi e grazie per la considerazione verso le mie parole. (Tranquillo Ben, non avrai in me una concorrente nelle classifiche dei best seller…)
Vedo che prosegue il discorso sul dolore e che tu, Ben, hai superato lo scoglio del dubbio trovando le parole, e lo stato d’animo, per raccontare. Hai evidentemente assecondato una tua forte necessità di condivisione, che poi equivale a distribuire fra più persone il dolore, cioè alleggerire il proprio peso, giusto? E’ anche questa una forma di “reazione”.
Pensi davvero che ci siano risposte univoche alle tue domande? Persino nella stessa persona le reazioni possono essere diverse in base al momento in cui l’esperienza dolorosa si verifica. Anche l’età può fare la differenza. Poi tu fai cenno a casi estremi in cui evidentemente non è presente una struttura psicologica forte. Credo che quelle persone si darebbero alle dipendenze di alcol e droga anche per fallimenti non necessariamente legati al dolore. Non so, mi sembrano due situazioni differenti. Un accenno alla fede, visto che la citi. Ho sempre pensato, e verificato personalmente, che spesso attaccarsi a questa è solo accantonare momentaneamente il proprio dolore, forse trasferendolo a qualcuno di superiore a noi che, pensiamo, lo saprà gestire meglio e aiuterà anche noi a farlo. La sofferenza però è sofferenza e, per il proprio equilibrio interiore e per la ripresa della vita dopo grandi dolori, è necessario elaborarla realisticamente e concretamente. Senza naturalmente nulla togliere al conforto della fede per chi è credente. Ciao Ines, ciao Ben. Forse è il caso di augurarvi la buonanotte, cosa ne dite?
Ah, che peccato, Maria, ci tenevo a vedere un testa a testa in vetta alle classifiche delle vendite!
Dovrò riflettere su quanto hai detto riguardo alla condivisione per alleggerire il proprio peso. Non credo sia quella l'urgenza per scrivere, ma mi riprometto di pensarci in un secondo momento. Sicuramente è una reazione, come altre che, come dici tu, possono essere differenti anche per la stessa persona. Per quanto riguarda la fede, io l'ho vissuta in maniera diversa da come dici di averla vissuta tu. La sofferenza l'ho vissuta realisticamente, ma, attraverso la fede, ho intravisto da subito la speranza di ritrovare presto il modo per superare i momenti più difficili. Le cicatrici, come abbiamo detto tempo indietro, rimangono, ma questa speranza dà la consapevolezza che siamo capaci di andare avanti, facendoci sentire meno soli. D'altronde chi crede è convinto di non essere mai lasciato solo, anche se capitano episodi di cui non si capisce la ragione. Ma anche per questo si dice di avere fede.
Scusa se sono stato troppo sintetico, lasciando alcune falle nella risposta. Sono in uff., ma volevo rispondere quanto prima.
P.s. per Ines: è il fanciullo che ho dentro che ogni tanto mi fa fare il "bischero", come si dice in Toscana. Ti riuscirà difficile crederlo, ma nella vita sono un tipo con molta voglia di scherzare.
Caro Ben, vorrei chiarire che quando parlo di alleggerire il proprio peso non lo intendo in senso egoistico. Riconoscerai credo che la condivisione di un dolore rende il il peso meno pesante (perché non ci si sente soli) mentre quella di una gioia moltiplica quest'ultima all'infinito. Il più è riuscirci e non sempre se ne è capaci. In questi ultimi mesi sto vivendo il dispiare per grandi dolori di amiche a me molto care. Più di una purtroppo, inclusa la morte di due persone. Ma, come dicevo nel mio post precedente, ci sono momenti e momenti in cui ci troviamo più o meno preparati e questo per me è il momento del silenzio, del dolore e la preoccupazione tenuti dentro.
Ah, vorrei chiedere a te Ines, e a te Ben se per voi che avete il dono della scrittura diventa un'esigenza affidare sofferenze e dolori alla parola scritta, e se questa si rivela un aiuto.
Tu bischero, Ben? Sembri sempre così serio però posso confermare che in tutto questo tempo ho potuto rendermi conto che ami molto giocare.
Grazie, Maria, per avermi attribuito "il dono della scrittura"....ma è tutto da dimostrare. Comunque sì, per me scrivere è stato sempre di grande aiuto. Non ho mai scritto durante il dolore, poiché questo - per le esperienze che ho vissuto - mi ha impedito di pensare alla scrittura nei momenti più difficili, ma dopo sì. Dopo: quando il dolore resta, ma è come mitigato dal tempo e dalla ragione; quando si impara a conviverci senza lasciarsene travolgere.
Ben, non mi riesce difficile crederti un "bischero", perché anch'io sono una "bischera" e mi piace scherzare. Buon pranzo
Il dono della scrittura? E' una frase molto impegnativa! Speriamo di meritarla. In base alla mia esperienza, posso dire che scrivere aiuta, ma anche la sofferenza aiuta a scrivere, magari non a caldo. Io ho attinto, ad esempio, al ricordo di quella condizione per scrivere di situazioni analoghe. Tuttavia ricordo anche di aver interrotto la scrittura durante un periodo in cui non ero di "buon umore", per non lasciarmi influenzare da quello stato d'animo.
Ines, una bischera? Ovvìa, allora siamo du' bischeracci!
Oggi, a pranzo, riso... soffiato (visto il vento che tira).
Nel momento in cui il dolore altrui si è impossessato anche di te, Ben, tu non hai violato con le tue parole la loro sofferenza ma vi hai partecipato pienamente, trovando nello scrivere il tuo strumento di condivisione.
RispondiEliminaCiao
Grazie Ines,
RispondiEliminasono riuscito a vincere i miei timori e a osare.
E cosa dire delle parole bellissime che Maria ha saputo trovare per descrivere il senso di vuoto, quasi di inutilità che la perdita della mamma ha lasciato nelle sue mani? Un'immagine commovente.
RispondiEliminaIl dolore - proprio o altrui - si può descrivere, ma richiama altro dolore e richiede la volontà di sostenerlo.
Un saluto
Maria sa sempre usare belle parole. Prima o poi ci stupirà tutti con un best seller.
RispondiEliminaAvete notato quanto è diversa, da una persona all'altra, la reazione al dolore? C'è chi si abbatte, chi cade in depressione, chi reagisce subito, chi si dispera, chi cede all'alcol o alla droga, chi...
Cosa c'è alla base di reazioni tanto diverse?
Una forza o debolezza interiore, la fede o la sua mancanza, una famiglia solida alle spalle, o cos'altro?
Buonasera ragazzi e grazie per la considerazione verso le mie parole. (Tranquillo Ben, non avrai in me una concorrente nelle classifiche dei best seller…)
RispondiEliminaVedo che prosegue il discorso sul dolore e che tu, Ben, hai superato lo scoglio del dubbio trovando le parole, e lo stato d’animo, per raccontare. Hai evidentemente assecondato una tua forte necessità di condivisione, che poi equivale a distribuire fra più persone il dolore, cioè alleggerire il proprio peso, giusto? E’ anche questa una forma di “reazione”.
Pensi davvero che ci siano risposte univoche alle tue domande? Persino nella stessa persona le reazioni possono essere diverse in base al momento in cui l’esperienza dolorosa si verifica. Anche l’età può fare la differenza.
Poi tu fai cenno a casi estremi in cui evidentemente non è presente una struttura psicologica forte. Credo che quelle persone si darebbero alle dipendenze di alcol e droga anche per fallimenti non necessariamente legati al dolore. Non so, mi sembrano due situazioni differenti.
Un accenno alla fede, visto che la citi. Ho sempre pensato, e verificato personalmente, che spesso attaccarsi a questa è solo accantonare momentaneamente il proprio dolore, forse trasferendolo a qualcuno di superiore a noi che, pensiamo, lo saprà gestire meglio e aiuterà anche noi a farlo.
La sofferenza però è sofferenza e, per il proprio equilibrio interiore e per la ripresa della vita dopo grandi dolori, è necessario elaborarla realisticamente e concretamente.
Senza naturalmente nulla togliere al conforto della fede per chi è credente.
Ciao Ines, ciao Ben. Forse è il caso di augurarvi la buonanotte, cosa ne dite?
Le tue domande, Ben, sono molto interessanti, quanto le risposte date da Maria.
RispondiEliminaUn discorso da riprendere, secondo me.
Buona notte.
P.S. Ti assicuro, Ben, che è molto simpatico vederti qui accanto in veste natalizia.
Ah, che peccato, Maria, ci tenevo a vedere un testa a testa in vetta alle classifiche delle vendite!
RispondiEliminaDovrò riflettere su quanto hai detto riguardo alla condivisione per alleggerire il proprio peso. Non credo sia quella l'urgenza per scrivere, ma mi riprometto di pensarci in un secondo momento.
Sicuramente è una reazione, come altre che, come dici tu, possono essere differenti anche per la stessa persona.
Per quanto riguarda la fede, io l'ho vissuta in maniera diversa da come dici di averla vissuta tu.
La sofferenza l'ho vissuta realisticamente, ma, attraverso la fede, ho intravisto da subito la speranza di ritrovare presto il modo per superare i momenti più difficili. Le cicatrici, come abbiamo detto tempo indietro, rimangono, ma questa speranza dà la consapevolezza che siamo capaci di andare avanti, facendoci sentire meno soli. D'altronde chi crede è convinto di non essere mai lasciato solo, anche se capitano episodi di cui non si capisce la ragione. Ma anche per questo si dice di avere fede.
Scusa se sono stato troppo sintetico, lasciando alcune falle nella risposta. Sono in uff., ma volevo rispondere quanto prima.
P.s. per Ines: è il fanciullo che ho dentro che ogni tanto mi fa fare il "bischero", come si dice in Toscana. Ti riuscirà difficile crederlo, ma nella vita sono un tipo con molta voglia di scherzare.
Caro Ben,
RispondiEliminavorrei chiarire che quando parlo di alleggerire il proprio peso non lo intendo in senso egoistico.
Riconoscerai credo che la condivisione di un dolore rende il il peso meno pesante (perché non ci si sente soli) mentre quella di una gioia moltiplica quest'ultima all'infinito.
Il più è riuscirci e non sempre se ne è capaci.
In questi ultimi mesi sto vivendo il dispiare per grandi dolori di amiche a me molto care. Più di una purtroppo, inclusa la morte di due persone. Ma, come dicevo nel mio post precedente, ci sono momenti e momenti in cui ci troviamo più o meno preparati e questo per me è il momento del silenzio, del dolore e la preoccupazione tenuti dentro.
Ah, vorrei chiedere a te Ines, e a te Ben se per voi che avete il dono della scrittura diventa un'esigenza affidare sofferenze e dolori alla parola scritta, e se questa si rivela un aiuto.
RispondiEliminaTu bischero, Ben? Sembri sempre così serio però posso confermare che in tutto questo tempo ho potuto rendermi conto che ami molto giocare.
Quasi ora di pranzo?
Grazie, Maria, per avermi attribuito "il dono della scrittura"....ma è tutto da dimostrare.
RispondiEliminaComunque sì, per me scrivere è stato sempre di grande aiuto.
Non ho mai scritto durante il dolore, poiché questo - per le esperienze che ho vissuto - mi ha impedito di pensare alla scrittura nei momenti più difficili, ma dopo sì.
Dopo: quando il dolore resta, ma è come mitigato dal tempo e dalla ragione; quando si impara a conviverci senza lasciarsene travolgere.
Ben, non mi riesce difficile crederti un "bischero", perché anch'io sono una "bischera" e mi piace scherzare.
Buon pranzo
Il dono della scrittura? E' una frase molto impegnativa! Speriamo di meritarla.
RispondiEliminaIn base alla mia esperienza, posso dire che scrivere aiuta, ma anche la sofferenza aiuta a scrivere, magari non a caldo.
Io ho attinto, ad esempio, al ricordo di quella condizione per scrivere di situazioni analoghe.
Tuttavia ricordo anche di aver interrotto la scrittura durante un periodo in cui non ero di "buon umore", per non lasciarmi influenzare da quello stato d'animo.
Ines, una bischera? Ovvìa, allora siamo du' bischeracci!
Oggi, a pranzo, riso... soffiato
(visto il vento che tira).