mercoledì 2 dicembre 2009

La frase di oggi è...

Le gioie sono il carro dell'uomo,
i dolori gli speroni per il suo cavallo.
(Proverbio cinese)

9 commenti:

  1. Ciao, caro Ben.
    Tempo fa hai postato su MKTV una domanda su quanto si può cambiare.
    Ecco credo che nulla quanto i dolori ci aiuti a riflettere, a crescere, a cambiare, spesso in meglio.
    Forse siamo strani, noi uomini, perché diventiamo tali soltanto dopo le grandi sofferenze.
    Un caro saluto

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  2. Sì Ines, mi ricordo quel post.
    Lì mi riferivo ai cambiamenti che avvengono in noi in maniera tale da non farcene accorgere.
    I dolori, come molte esperienze negative, come i "No" che si ricevono in giovane età, aiutano a maturare, a crescere.
    Noi ne faremmo volentieri a meno, ma la nostra evoluzione riceve un'enorme spinta da loro.
    Gioia e dolore vanno a braccetto.
    Non so se hai letto Il Profeta di Gibran. Ho appena finito di rileggerlo. Lui dice, fra le altre cose, che sono inseparabili, che
    "La vostra gioia è il vostro dolore senza maschera"

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  3. Credo che buona parte dei cambiamenti, Ben, avvenga lentamente e in maniera quasi impercettibile.
    E' con il tempo poi, nel guardarci dentro e ripensare a come eravamo, che acquisiamo la consapevolezza dei cambiamenti, che non sono uguali per tutti naturalmente: conosco persone che sono uscite da grandi dolori inaridite e altre che ne sono uscite notevolmente arricchite.
    Non ho letto Il Profeta di Gibran.
    Me lo consigli?
    Un salutone

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  4. Cara Ines, Caro Ben,
    l'immagine evocata dalla frase orientale è sicuramente appropriata. I dolori ci fanno crescere, ci maturano, ci rendono migliori. E' capitato così anche a me e ne sono consapevole.
    Tuttavia trovo che ogni "giustificazione" che diamo ai nostri dolori sia una sorta di antidoto ad un dolore più grande: la consapevolezza di aver avuto la vita stravolta e con essa aver perduto il ritmo sereno e "giusto" che avrebbe avuto se certi dolori non l'avessero toccata. Quelle che io chiamo spesso le occasioni perdute.
    Certo, ce ne sono state e ce ne saranno altre, ma dover crescere troppo velocemente (perché è questo che accade) significa perdersi piccoli pezzi di infanzia e giovinezza che non recupereremo più nemmeno se avremo una vita felice e appagante. Resterà sempre quel fondo di malinconia, quasi come a temere di accogliere la felicità...per paura di perderla nuovamente. Questo, a chi non ha sofferto, non capiterà mai.
    Scusate il pensiero poco lineare. Forse è solo l'ora di dormire.
    Vi auguro la buonanotte.

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  5. Ines, penso di poterti suggerire la lettura de Il Profeta. Se vuoi renderti conto, puoi cercarlo in internet, ce ne sono versioni quasi integrali online.
    Io l'ho trovato fonte ricchissima di riflessioni. Presto inserirò le mie impressioni ne "Le pagelle".
    "Le pagelle", ti spiego brevemente, sono solo un gioco di un lettore e non di un critico letterario, poichè non lo sono.
    Grazie Ines.

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  6. Maria, probabilmente si cerca la cura contro la malattia. Tuttavia rimane sempre una cicatrice a ricordare che lì c'è stata la ferita.
    Se ci girassimo indietro a rivedere le occasione perdute...
    Non penso che si debba aver paura della felicità, ma che vada cercata e poi cercata di nuovo, e poi ancora, perchè è fatta di attimi che poi svaniscono lasciando comunque una piacevole sensazione dentro di noi.
    E' vero che ci sono cose che non torneranno più o che non sono mai avvenute, ma credo anche che una persona debba procedere "forte" del suo passato, consapevole del suo presente e con lo sguardo verso il domani.

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  7. E' indubbio che i dolori importanti lasciano cicatrici che resteranno per sempre, come dici tu, Ben; e che resta quel fondo di malinconia anche per quei momenti perduti che non si potranno recuperare (perché appartenevano a quel tempo, a quella età), come dici tu, Maria.
    Eppure sono convinta che proprio quei grandi dolori possano essere uno stimolo importante per vivere intensamente ogni momento di ogni giorno e goderne pienamente.
    Anzi, come sostiene giustamente Ben, quanto più abbiamo conosciuto la sofferenza tanto più dovremmo anelare alla "felicità", quasi come fosse una sorta di riscatto che desideriamo e che, in fondo, ci spetta di diritto.
    Ma sta a noi costruire le condizioni perché ciò avvenga: nessuno verrà a portarcele a casa ben servite.
    Un'ultima osservazione - e scusatemi se mi sono dilungata, ma l'argomento mi "prende dentro" - sulle persone che non hanno sofferto: l'esperienza e le numerose conoscenze mi hanno insegnato che queste - spesso - sono le più povere, dal punto di vista interiore, umano e sociale.
    Si riconosce una persona che non ha sofferto perché raramente è proiettata verso l'altro e verso l'esterno, ma vive del proprio mondo, credendo che tutto il mondo intorno sia uguale al suo.
    Un caro saluto

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  8. Cara Ines,
    sottoscrivo in pieno l'ulimo paragrafo del tuo post. Hai ragione, è proprio questo l'atteggiamento di chi ignora il dolore.
    Ciao ragazzi, grazie dello scambio di idee e sentimenti.

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  9. Concordo anch'io.
    Aggiungo solo che ho avuto la fortuna di conoscere persone che hanno sofferto poco o niente, ma che hanno saputo guardarsi intorno ugualmente.
    Grazie ad entrambe

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