domenica 30 ottobre 2011

Quattro passi... con Ben - Cinquantaquattresima puntata

Il cibo non era buono, ma a cena mangiai tutto. Già da quel primo giorno mi imposi di mangiare ugualmente, anche se, nei giorni successivi, a colazione, mi ritrovai a prendere spesso una porzione in più di biscotti per nasconderla nell’armadietto e mangiarla al momento opportuno.
Quando sembrava che la giornata fosse finita, l’ufficiale di servizio trovò il modo di infliggere una punizione perché un cubo, cioè un letto, non era stato rifatto a dovere. Così, fece pulire tutti gli armadietti, poi,dopo una serie di parolacce, ci dette il permesso di andare a letto.
Ovviamente il suo “benvenuto” non era altro che un modo per inculcare in noi il principio del rispetto e farci vedere chi comandava e che cosa era capace di fare, qualora lo avesse voluto. Ci riuscì benissimo e prima di ogni contrappello era nostra premura vedere se tutto, compresi noi stessi, era in perfetto ordine. Finalmente quella giornata finì e, grazie a Dio, riuscii ad addormentarmi.
La mattina seguente la sveglia mi trovò già in piedi.
Per evitare l’intasamento ai bagni, cosa inevitabile visto il grande numero di reclute presente in compagnia, mi alzai appena mi svegliai, anche se era un po’ presto rispetto all’ora in cui saremmo stati svegliati tutti, e con relativa calma mi feci la barba, mi lavai e cominciai a vestirmi in attesa di scendere per la ginnastica. Fu una scelta saggia, che portai avanti per tutto il resto dei giorni al Car.
La ginnastica consisteva in circa quindici minuti durante i quali un disco risuonava alto per tutta la caserma, impartendo ordini per farci fare esercizi fisici, alternati alla corsa, giusto per scaldarci e tenerci i muscoli tonici. Essendo in pieno luglio, questo comportava la prima sudata della giornata.
Alla fine dell’attività fisica c’era la colazione e tutti quanti dovevamo metterci in fila in attesa di entrare al “ristorante”. Prima si entrava più tempo avevamo per mangiare e rilassarsi qualche minuto prima di iniziare l’addestramento. Al contrario, più si rimaneva in fila fuori meno tempo si aveva per fare colazione e poteva capitare di dover uscire senza avere terminato di farla.
Nel giro di poche mattine imparai a gestire i giri di corsa della ginnastica, in modo da arrivare alla fine del tempo a ridosso della prima fila di attesa per entrare a fare colazione.
Con questo piccolo trucco mi ritrovavo spesso in prima fila e, se proprio andava male, in seconda.
Il periodo del Car non fu molto bello. Spesso ero di servizio e questo mi impediva di uscire la sera. Mi feci tanti servizi di piantone, cioè di guardia alle camerate, e tanti servizi in cucina, a lavare, pulire e vedere tutto quel ben di Dio di... sporco possibile ed immaginabile: grasso dappertutto, cibi trattati in modo barbaro, carne che veniva sbattuta ovunque prima di essere cotta e servita, pentoloni grandi come botti pulite con acqua, senza detersivi e poi asciugati con stracci inguardabili.
Una mattina che ero di servizio in cucina, cioè quello che detestavo di più, riuscii ad imboscarmi e stetti fino all’ora di pranzo in camerata senza che nessuno mi venisse a cercare. Ma poi mi tornarono in mente le parole che il Giuba mi disse l’ultima volta che ci vedemmo prima della mia partenza:
“Bobby, rimani te stesso.”
Fra tutto ciò che mi era stato detto prima di partire, quelle parole risuonarono alte dentro di me.
Da allora in poi cominciai ad affrontare la vita militare di petto, senza subirla passivamente in quanto impostami, ma con il cipiglio, il carattere e la mia personalità.
Senza cercare di scansare quello che capitava, mi accorsi che le cose diventavano più semplici. Era molto più facile per me compiere le cose quotidiane, anche se impreviste, con naturalezza, come una cosa che dovendo esser fatta, valeva la pena di farla bene.
Così facendo conquistai la fiducia ed il rispetto degli altri commilitoni, molti dei quali, a distanza di tanti anni, hanno solo un volto e non più un nome.

Un ricordo per...

Mercoledì scorso è stata giocata la finale di un torneo di calcetto intitolato alla memoria di un collega morto per infortunio sul lavoro circa un anno e mezzo fa.
All'epoca scrissi un post intitolato La sosta, dal quale ho ricavato una canzone, adattata ad una musica già esistente, che è stata fatta ascoltare prima della premiazione della squadra vincente.
Sono stati minuti di intensa emozione che ognuno ha vissuto in maniera personale, soprattutto chi ha conosciuto la persona in questione. Alla fine è arrivato un applauso che è terminato soltanto quando lo speaker ha deciso di riprendere la parola.

domenica 23 ottobre 2011

Quattro passi... con Ben - Cinquantatreesima puntata

La notte trascorreva molto lentamente e non riuscivo a prendere sonno, allora pensavo a come sarebbero stati i giorni successivi. Roberto invece si addormentò subito. Io ogni tanto mi alzavo e fissavo il buio oltre i finestrini.
Quando l’alba arrivò, eravamo nelle Marche, e poco dopo arrivammo a Pescara. Trenta minuti di autobus e Chieti fu raggiunta.
Chiedemmo della caserma ed in pochi minuti la raggiungemmo. Insieme a Roberto ci fermammo davanti a quel portone d’ingresso, come se ancora potessimo decidere se entrare o meno.
Ognuno di noi pensava qualcosa. Io pensavo che una volta varcata quella soglia, mi sarei estraniato dal mondo reale per un anno intero, un anno di tempo perso.
Poi mi risvegliai dai miei pensieri e dissi: “Dobbiamo farlo? Allora andiamo!” E accelerai il passo per entrare come se, entrando prima, avessimo potuto accorciare quel periodo.
Roberto, che fino ad allora aveva fatto il mattacchione, lo spavaldo, ora sembrava più piccolo e mi viaggiava dietro, come se volesse mandare me in avanscoperta: adesso aveva paura.
Suonai e il portone si aprì. Entrammo, insieme ad altri, e il portone si chiuse alle nostre spalle. Ci controllarono i documenti e la cartolina, poi un altro portone si aprì. Entrammo definitivamente, in fila indiana, e anche quella seconda porta si chiuse dietro di noi.
Il mondo, quello che fino allora era stato il mio mondo, era definitivamente fuori, ed io stavo iniziando una nuova esperienza, che non avevo scelto, ma che pur dovevo fare.
Quella giornata fu veramente dura, anche da un punto di vista fisico.
Era cominciata un’esperienza di cui avevo sentito parlare molte volte, riferita ad altri, e che adesso, invece, cominciavo a vivere sulla mia pelle. Un qualcosa di sconosciuto che mi rendeva ansioso. Con questo stato d’animo iniziai i primi momenti all’interno della caserma.
Dopo la notte insonne, la giornata proseguì fra continue file, per lo più sotto il sole, al caldo, per sbrigare tutte le formalità di ingresso: identificazione, assegnazione delle mansioni, consegna dei vestiti, visita medica, assegnazione della compagnia, assegnazione della camerata e non so quante altre cose ancora. Finalmente la sera arrivò. Entrai in camerata distrutto, con i vestiti del giorno precedente ancora addosso, completamente inzuppati di sudore. Il caldo in quella stanza enorme era opprimente, le finestre non si potevano aprire completamente, con delle fessure orizzontali che le rendevano simili a grandi persiane trasparenti. La voglia di fare una doccia era molto forte, ma non era possibile farla, perché ogni compagnia aveva un turno da rispettare.
Dovevamo pertanto usufruire dei bagni, corredati dei soli lavandini, con dei rubinetti dai quali usciva solo un filo d’acqua. Tutto ciò era demoralizzante. Mi lavai alla meglio e mi buttai sulla branda che mi era stata assegnata, ma ero talmente stanco che non riuscii ad addormentarmi.
Parlai di quelle prime ore con gli altri; eravamo tutti nelle stesse condizioni e poco dopo irruppe il silenzio. Ognuno di noi, con gli occhi spalancati rivolti verso il soffitto, rimase immerso nei propri pensieri. Mi venne in mente la sera che con Cinzia dovevamo andare a vedere il concerto degli Spandau Ballet, che fu rinviato per motivi di salute di un componente del gruppo. Noi, però, ci vedemmo ugualmente ed andammo in centro a Firenze, in una bellissima sera di aprile. Quella stessa sera ci mettemmo insieme. Mi venne in mente poi la nostra gita sulle Apuane e quella successiva sul Trasimeno. Erano passati pochi mesi, addirittura poche settimane, da quegli avvenimenti. Tuttavia mi sembravano già così lontani quei momenti. E Cinzia poi… mi faceva male il solo pensarci.

venerdì 21 ottobre 2011

Se ci sei batti un colpo

Nell'ottobre del 2008 aprii il Rifugio e quest'anno non mi sono nemmeno ricordato di festeggiare il suo compleanno. Vergogna, Ben!
Che sia il segno del tempo... che passa? La memoria manda i suoi saluti? Tutto può essere.
Fra chiusure e riaperture non sono mai riuscito a staccarmi da questo spazio, così come è successo con "Ben... oltre", anch'esso in vacanza per molti mesi.
Se avessi guardato i risultati dell'auditel li avrei chiusi tutti e due da un bel pezzo, ma sono riuscito a tenere duro, ad andare avanti per la mia strada, a resistere alla tentazione di chiudere definitivamente.
In questo percorso ho incontrato alcune persone che ho imparato ad apprezzare e non vi nascondo che, quando non intervengono per un po' di tempo, sento la loro mancanza e il blog mi sembra deserto.



mercoledì 19 ottobre 2011

Provare a cantare...

Non vedi l'ora di provare a cantare ciò che hai scritto,
ma nel momento cruciale ti accorgi che

martedì 18 ottobre 2011

La mia risposta per Narcisista

Narcisista ha risposto così al mio post sul forum Leggere e Scrivere del Corriere della Sera:

"Secondo me una forma (non grave, sia chiaro) di narcisismo è anche quella di pubblicare tre libri con una casa editrice a pagamento, se non ho capito male e inteso peggio, per sentirsi scrittore e neppure esordiente.
Sentendoselo pure confermare dall'ottimo Di Stefano, mica pizza e fichi.
Nell'ipotesi poi, come auguro di cuore, che un quinto libro venga pubblicato da un Signor Editore... beh, allora si vedrà.
Tutti abbiamo le nostre passioni, ma ogni tanto riguardarsi non guasta: altrimenti, poiché ognuno di noi ha qualcosa da dire, raccontare, scrivere etc., tra poco la foresta amazzonica rimarrà un lontano ricordo e quei simpatici cosi chiamati "alberi" li potremo ammirare soltanto in cartolina.
Con simpatia.
N."

Già avevo cominciato la risposta sullo stesso forum, adesso la riprendo e la concludo.

Tutti noi abbiamo storie da raccontare, storie che, per quanto simili, hanno la caratteristica e la bellezza di essere ognuna diversa dall'altra.
Spesso si tende a generalizzare e ad appiattire tutto.
Il fatto di aver scritto qualche libro non mi fa affatto sentire uno scrittore. Sono un normalissimo impiegato e l’unica definizione che attribuisco a me stesso, scherzando ma non troppo, è quella di ragioniere della zolla, poiché da molti hanno mi occupo di contabilità in un’azienda florovivaistica, motivo per cui ho molto rispetto per gli alberi, perché sono proprio loro a permettermi di tirare avanti.
Sono arrivati i libri e, per la verità, sarebbe arrivato anche un contratto editoriale, al quale ne preferii uno per servizi editoriali. Perché? Si domanderà lei. Perché il mio scopo non era quello di farne un libro fine a me stesso, ma legarlo ad iniziative benefiche.
Cercai degli sponsor che contribuirono in parte alla realizzazione del libro, banche, ditte, amici imprenditori, in modo da poter usufruire non di una percentuale, come avrebbe offerto un contratto editoriale, ma dell’intero prezzo di copertina.
Non mi pentii di quella scelta, anzi, l’ho ripetuta con i libri successivi.
E’ così che oggi ci sono due o tre sedie in più all’ospedale pediatrico Meyer di Firenze, che alcune persone con sindrome di Down hanno potuto frequentare un corso di ping-pong, che alcune persone disabili hanno potuto fare qualche “pizzata” in più, che alcuni bambini del Burkina Faso hanno potuto ricevere qualche penna o quaderno in più, che sono stati posati tre o quattro mattoni per una scuola in Congo.
Scrivere questo, mi creda, mi crea un forte imbarazzo, per motivi facilmente immaginabili, ma è l’unico modo per togliere l’olio dai fiaschi, come si dice dalle mie parti, e per non alimentare equivoci.
Se un quinto libro arriverà? Per il momento non so, e non ci penso più di tanto, ma se quel giorno arriverà, mi guarderò allo specchio, un sorriso si impadronirà delle mie labbra e...

domenica 16 ottobre 2011

Quattro passi... con Ben - Cinquantaduesima puntata

Il momento, mercoledì 3 luglio 1985, arrivò. Destinazione Chieti.
Era un momento che volevo tenere lontano, volevo che non arrivasse mai. Lontano da casa, lontano da Cinzia, lontano da tutti, per svolgere un servizio che ritenevo inutile.
Avevo avuto anche la possibilità di poter scegliere di farlo più vicino, attraverso certe persone, ma non mi andava di arricchirle per le loro manovre sottobanco. Così, quando mio padre mi prospettò quella eventualità, dissi di no, decidendo che avrei accettato qualsiasi posto. Un anno sarebbe comunque passato in fretta.
Nei giorni che precedettero la partenza conobbi, tramite la radio, un altro ragazzo di Pistoia che, come me, era destinato a Chieti, con partenza lo stesso giorno, e che, come me, si chiamava Roberto. Fissammo di ritrovarci alla stazione per prendere il treno insieme.
Con Cinzia mi salutai il giorno prima della partenza.
Non volli che venisse a salutarmi alla stazione, anche perché partivo a notte fonda, da Prato, e lei abitava a Scandicci. I miei invece mi accompagnarono al gran completo.
Era una notte calda. Ero vestito con dei jeans ed una maglietta gialla, ed avevo una borsa con il minimo indispensabile dentro.
Strano, mi ricordo come ero vestito, cosa che abitualmente non mi succede.
Arrivai alla stazione che era più o meno mezzanotte. C’era poca gente, per lo più militari come me in partenza per svariati posti d’Italia. Arrivò anche Roberto.
Il treno arrivò puntuale, direzione Bologna, fino a Pescara. Da lì dovevamo prendere l’autobus per andare a Chieti. Dovevamo essere in caserma di mattina presto, credo entro le 9.
Salutai in modo sbrigativo i miei genitori e mio fratello, per non rendere troppo lungo e pesante quel momento, ben sapendo che li avrei rivisti uno o due mesi più tardi.
Con Roberto salimmo sul treno e cercammo uno scompartimento libero dove sistemarci. Ci accomodammo e non mi affacciai al finestrino per gli ultimi saluti con il treno che parte. Non volli vedere le mani dei miei che si agitavano per salutarmi.
Da quel momento avrei dovuto cavarmela da solo, per cui preferii un distacco netto, senza tanti fronzoli, come era nel mio carattere. E dopo pochi minuti ero già calato nella nuova “parte”. Di Cinzia, comunque, avevo portato una fotografia che le avevo fatto durante una nostra gita al Lago Trasimeno, una delle nostre prime uscite. Ancora oggi ho in casa quella foto, ritagliata e incastonata dentro una scatola dei Baci Perugina a forma di cuore che trasformai in un porta fotografie.

sabato 8 ottobre 2011

Ho inserito sul Forum "Leggere e Scrivere" del Corriere della Sera...

Motivazioni, e non narcisismo e vanità letteraria


Ho trovato, rientrando sul forum, un argomento che ciclicamente riappare: esordienti e pubblicazioni a pagamento e non. Ho letto anche parole come narcisismo, vanità letteraria, in cui non mi riconosco.
Non credo che queste parole abbiamo valore, o lo stesso valore, per tutti, anzi, credo che chi scrive debba essere più sensibile ad altre parole e sentimenti.
Prima di tutto vorrei capire meglio che cosa si intende per esordiente, ponendo una domanda attraverso un esempio (ho imparato ad avvalermi degli esempi da un paio di anni a questa parte, da quando incontro un gruppo di bambini che adesso sono in quinta elementare): io ho scritto quattro libri di cui tre pubblicati nel modo in cui qualcuno forse ricorda. Il primo, per me il più importante e verso il quale mi sento quasi in colpa, lo sto inserendo a puntate sul mio piccolo spazio web. Se adesso scrivessi un libro, e sarebbe il quinto, per assurdo pubblicato da un Signor Editore, risulterei un esordiente? O, semplicemente, passerei da sconosciuto a meno sconosciuto?
Detto questo, io credo più nei progetti: c’è l’urgenza di scrivere, ma ci sono anche altre urgenze, e lì bisogna darsi daffare, magari mettendo a disposizione una qualità che abbiamo. A volte si scrive, non solo per noi stessi, non per narcisismo o per vanità letteraria, ma perché sta cambiando qualcosa in noi e la scrittura può rappresentare un passaggio verso qualcosa di cui ci rendiamo conto solo dopo, proprio grazie a ciò che, ignari, avevamo scritto in precedenza, e che ci avvicina al tipo di persona che vogliamo essere. Così mi sono ritrovato a trasferire dalla carta alla realtà, in maniera non identica ma analoga, ciò di cui avevo parlato nei miei libri.
L’ultimo romanzo è uscito solo due anni fa, eppure mi sembra un tempo lontanissimo. Nel frattempo ho continuato a scrivere, senza affanni, iniziando un romanzo che poi ho cancellato, ho contribuito alla stesura di una commedia musicale, ho sceneggiato canzoni e attualmente mi diverto a scriverne, argomento che ho provato a proporre con un mio precedente intervento che non ha suscitato interesse.
Oggi mi sento una persona molto diversa da quella che ero quando ancora non scrivevo, arricchito interiormente da tutto quello che è scaturito dalla scrittura.
Ma se non avessi creduto nei progetti legati ai miei libri? E se avessi deciso di tenerli nel cassetto in attesa di?
E se non avessi deciso di pubblicare nel modo in cui qualcuno forse ricorda?

mercoledì 5 ottobre 2011

Avevo voglia di scrivere...

... e stasera l'ho fatto.
Una cosina breve, ricavata da un post scritto molto tempo fa.
L'idea è proprio quella: assecondando la mia ultima passione, mi sono messo in testa di trasformare in testi per canzoni quello che ho scritto nel corso del tempo.
Ah, se conoscessi anche la musica!

domenica 2 ottobre 2011

Sembra estate!

Questa mattina mi sono messo al computer con l'intenzione di scrivere qualcosa. Poi ho cominciato ad aprire a caso un libretto e a leggerne alcune citazioni, come questa:

"Gli uomini, non avendo nessun rimedio contro la morte, la miseria e l'ignoranza, hanno stabilito, per essere felici, di non pensarci mai." (B. Pascal)