Il cibo non era buono, ma a cena mangiai tutto. Già da quel primo giorno mi imposi di mangiare ugualmente, anche se, nei giorni successivi, a colazione, mi ritrovai a prendere spesso una porzione in più di biscotti per nasconderla nell’armadietto e mangiarla al momento opportuno.
Quando sembrava che la giornata fosse finita, l’ufficiale di servizio trovò il modo di infliggere una punizione perché un cubo, cioè un letto, non era stato rifatto a dovere. Così, fece pulire tutti gli armadietti, poi,dopo una serie di parolacce, ci dette il permesso di andare a letto.
Ovviamente il suo “benvenuto” non era altro che un modo per inculcare in noi il principio del rispetto e farci vedere chi comandava e che cosa era capace di fare, qualora lo avesse voluto. Ci riuscì benissimo e prima di ogni contrappello era nostra premura vedere se tutto, compresi noi stessi, era in perfetto ordine. Finalmente quella giornata finì e, grazie a Dio, riuscii ad addormentarmi.
La mattina seguente la sveglia mi trovò già in piedi.
Per evitare l’intasamento ai bagni, cosa inevitabile visto il grande numero di reclute presente in compagnia, mi alzai appena mi svegliai, anche se era un po’ presto rispetto all’ora in cui saremmo stati svegliati tutti, e con relativa calma mi feci la barba, mi lavai e cominciai a vestirmi in attesa di scendere per la ginnastica. Fu una scelta saggia, che portai avanti per tutto il resto dei giorni al Car.
La ginnastica consisteva in circa quindici minuti durante i quali un disco risuonava alto per tutta la caserma, impartendo ordini per farci fare esercizi fisici, alternati alla corsa, giusto per scaldarci e tenerci i muscoli tonici. Essendo in pieno luglio, questo comportava la prima sudata della giornata.
Alla fine dell’attività fisica c’era la colazione e tutti quanti dovevamo metterci in fila in attesa di entrare al “ristorante”. Prima si entrava più tempo avevamo per mangiare e rilassarsi qualche minuto prima di iniziare l’addestramento. Al contrario, più si rimaneva in fila fuori meno tempo si aveva per fare colazione e poteva capitare di dover uscire senza avere terminato di farla.
Nel giro di poche mattine imparai a gestire i giri di corsa della ginnastica, in modo da arrivare alla fine del tempo a ridosso della prima fila di attesa per entrare a fare colazione.
Con questo piccolo trucco mi ritrovavo spesso in prima fila e, se proprio andava male, in seconda.
Il periodo del Car non fu molto bello. Spesso ero di servizio e questo mi impediva di uscire la sera. Mi feci tanti servizi di piantone, cioè di guardia alle camerate, e tanti servizi in cucina, a lavare, pulire e vedere tutto quel ben di Dio di... sporco possibile ed immaginabile: grasso dappertutto, cibi trattati in modo barbaro, carne che veniva sbattuta ovunque prima di essere cotta e servita, pentoloni grandi come botti pulite con acqua, senza detersivi e poi asciugati con stracci inguardabili.
Una mattina che ero di servizio in cucina, cioè quello che detestavo di più, riuscii ad imboscarmi e stetti fino all’ora di pranzo in camerata senza che nessuno mi venisse a cercare. Ma poi mi tornarono in mente le parole che il Giuba mi disse l’ultima volta che ci vedemmo prima della mia partenza:
“Bobby, rimani te stesso.”
Fra tutto ciò che mi era stato detto prima di partire, quelle parole risuonarono alte dentro di me.
Da allora in poi cominciai ad affrontare la vita militare di petto, senza subirla passivamente in quanto impostami, ma con il cipiglio, il carattere e la mia personalità.
Senza cercare di scansare quello che capitava, mi accorsi che le cose diventavano più semplici. Era molto più facile per me compiere le cose quotidiane, anche se impreviste, con naturalezza, come una cosa che dovendo esser fatta, valeva la pena di farla bene.
Così facendo conquistai la fiducia ed il rispetto degli altri commilitoni, molti dei quali, a distanza di tanti anni, hanno solo un volto e non più un nome.
"Rimani te stesso": ammonimento (e invito) ammirevole, quello del Giuba, caro Ben.
RispondiEliminaFedeli a se stessi, prima che agli altri, già, perché credo che nessuno possa essere fedele agli altri se non sa essere fedele a se stesso, l'unica persona - veramente l'unica - con cui trascorriamo ogni attimo della nostra vita.
Un caro saluto
Il servizio obbligatorio di leva è stato abolito nel 2005.
RispondiEliminaPensi che sia stato bene abolirlo?
L'esperienza di vita militare ha in qualche modo contribuito alla tua crescita oppure no?
Grazie.
In ambienti del genere è facile nascondersi, non fare, pensare a "chi me lo fa fare, meglio che lo faccia un altro". Ma quelle parole mi risuonarono in mente, come un richiamo della coscienza, proprio perchè quello che avevo provato a fare mi snaturava. Per adeguarmi, per fare il furbetto, avevo cambiato il mio modo di essere e di pensare. Insomma, mi ritrovavo a imbrogliare me stesso.
RispondiEliminaGrazie al cielo lo capii e tutto divenne più semplice.
Vengo alle tue domande, Marzullines.
Il servizio di leva così com'era ai miei tempi non serviva a nessuno, perchè ti faceva pensare proprio che quell'anno doveva essere sopportato non solo dai militari di leva, ma anche da chi lo imponeva. L'impressione era che anche chi lo faceva di mestiere lo facesse giusto per avere uno stipendio e fare il meno possibile (i primi imboscati erano loro).
Il gusto nel punire per un cubo rifatto male o per uno stivale non lucidato a dovere, faceva pensare a seri problemi psicologici di quelle persone.
Non serviva a niente a chi, magari più fragile e debole, sceglieva di terminare prima quel periodo semplicemente cercando di dimenticare che lo stava facendo, ricorrendo a stupefacenti ,alcol, e simili.
Per quanto mi riguarda, ma lo vedremo nelle puntate che seguiranno, credo di aver messo a frutto anche quell'esperienza, di aver interiorizzato quello che valeva la pena di salvare, soprattutto per quanto riguarda i rapporti interpersonali.
Grazie della risposta, caro Ben.
RispondiEliminaCiao!