La notte trascorreva molto lentamente e non riuscivo a prendere sonno, allora pensavo a come sarebbero stati i giorni successivi. Roberto invece si addormentò subito. Io ogni tanto mi alzavo e fissavo il buio oltre i finestrini.
Quando l’alba arrivò, eravamo nelle Marche, e poco dopo arrivammo a Pescara. Trenta minuti di autobus e Chieti fu raggiunta.
Chiedemmo della caserma ed in pochi minuti la raggiungemmo. Insieme a Roberto ci fermammo davanti a quel portone d’ingresso, come se ancora potessimo decidere se entrare o meno.
Ognuno di noi pensava qualcosa. Io pensavo che una volta varcata quella soglia, mi sarei estraniato dal mondo reale per un anno intero, un anno di tempo perso.
Poi mi risvegliai dai miei pensieri e dissi: “Dobbiamo farlo? Allora andiamo!” E accelerai il passo per entrare come se, entrando prima, avessimo potuto accorciare quel periodo.
Roberto, che fino ad allora aveva fatto il mattacchione, lo spavaldo, ora sembrava più piccolo e mi viaggiava dietro, come se volesse mandare me in avanscoperta: adesso aveva paura.
Suonai e il portone si aprì. Entrammo, insieme ad altri, e il portone si chiuse alle nostre spalle. Ci controllarono i documenti e la cartolina, poi un altro portone si aprì. Entrammo definitivamente, in fila indiana, e anche quella seconda porta si chiuse dietro di noi.
Il mondo, quello che fino allora era stato il mio mondo, era definitivamente fuori, ed io stavo iniziando una nuova esperienza, che non avevo scelto, ma che pur dovevo fare.
Quella giornata fu veramente dura, anche da un punto di vista fisico.
Era cominciata un’esperienza di cui avevo sentito parlare molte volte, riferita ad altri, e che adesso, invece, cominciavo a vivere sulla mia pelle. Un qualcosa di sconosciuto che mi rendeva ansioso. Con questo stato d’animo iniziai i primi momenti all’interno della caserma.
Dopo la notte insonne, la giornata proseguì fra continue file, per lo più sotto il sole, al caldo, per sbrigare tutte le formalità di ingresso: identificazione, assegnazione delle mansioni, consegna dei vestiti, visita medica, assegnazione della compagnia, assegnazione della camerata e non so quante altre cose ancora. Finalmente la sera arrivò. Entrai in camerata distrutto, con i vestiti del giorno precedente ancora addosso, completamente inzuppati di sudore. Il caldo in quella stanza enorme era opprimente, le finestre non si potevano aprire completamente, con delle fessure orizzontali che le rendevano simili a grandi persiane trasparenti. La voglia di fare una doccia era molto forte, ma non era possibile farla, perché ogni compagnia aveva un turno da rispettare.
Dovevamo pertanto usufruire dei bagni, corredati dei soli lavandini, con dei rubinetti dai quali usciva solo un filo d’acqua. Tutto ciò era demoralizzante. Mi lavai alla meglio e mi buttai sulla branda che mi era stata assegnata, ma ero talmente stanco che non riuscii ad addormentarmi.
Parlai di quelle prime ore con gli altri; eravamo tutti nelle stesse condizioni e poco dopo irruppe il silenzio. Ognuno di noi, con gli occhi spalancati rivolti verso il soffitto, rimase immerso nei propri pensieri. Mi venne in mente la sera che con Cinzia dovevamo andare a vedere il concerto degli Spandau Ballet, che fu rinviato per motivi di salute di un componente del gruppo. Noi, però, ci vedemmo ugualmente ed andammo in centro a Firenze, in una bellissima sera di aprile. Quella stessa sera ci mettemmo insieme. Mi venne in mente poi la nostra gita sulle Apuane e quella successiva sul Trasimeno. Erano passati pochi mesi, addirittura poche settimane, da quegli avvenimenti. Tuttavia mi sembravano già così lontani quei momenti. E Cinzia poi… mi faceva male il solo pensarci.
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