sabato 30 giugno 2012

Quattro passi... con Ben - Settantaduesima puntata


24 giugno del 1986, martedì.
La sera precedente facemmo un po’ di bisboccia, ma senza strafare, come era nostra abitudine. Poi andammo a dormire, anche se sarebbe meglio dire che cercammo di dormire, perché l’emozione per il congedo era talmente alta che nessuno di noi del “Quinto 85” chiuse occhio quella notte.
Così “l’alba” ci trovò già svegli.
Io stavo sul letto con le braccia incrociate dietro la testa, appoggiate sul cuscino, con lo sguardo rivolto verso il soffitto, ma senza vederlo. I miei pensieri stavano ripercorrendo quell’anno incredibile: il viaggio in treno verso Chieti, il giuramento, il viaggio verso Montichiari, le nuove amicizie, i congedi dei vecchi commilitoni a me cari, come il Killer, il Corsi, il Cini, il grande Leardo ed altri ancora con i quali avevo percorso un pezzo di strada insieme.
Ripercorrevo i giorni delle licenze, la gita a Sirmione con i miei familiari e tanti, tanti altri pensieri mi affollavano la mente. Uno di questi che cercavo di tenere lontano, ancora per un po’, riguardava il mio futuro una volta uscito dalla caserma, con la ricerca del lavoro in testa a tutto. Ma ancora non volevo prendere in considerazione questa idea.
Era così tutto chiaro ciò che avevo impresso nella mente di quel periodo.
Poi fui bruscamente distolto da quei pensieri dalla sveglia che suonò.
Per molti era un giorno come un altro, mentre per me e gli altri del mio scaglione era l’ultimo giorno.
Mi alzai e già alcune grida risuonavano per i corridoi:
“È finita! Vado a casa!”
Era la voce di Scaravaglione, piemontese.
“Oggi è l’alba! Cof, cof” gridò Cosimo, di Milano, che accompagnava ogni sua frase con due colpi di tosse, frutto delle tantissime sigarette che fumava.
In camerata, con Giorgio e Federico cominciammo a prepararci, con calma, con quel sorriso sulle labbra di chi sta per fare una cosa molto volentieri.
Ci vestimmo di tutto punto, in divisa, pronti per andare a ricevere il congedo dalle mani del Tenente Colonnello Gelato.
Fummo accolti dal comandante che ebbe parole di elogio per noi, per il nostro modo di aver trascorso quell’anno, per l’impegno espresso, per l’educazione dimostrata e per il rispetto nei confronti dei più giovani.
Tutte parole che ci inorgoglirono perché dimostravano che il nostro operato non era passato inosservato ed era stato apprezzato.
Alla fine del lungo discorso, e dopo la consegna del congedo, aggiunse:
“Comodi ragazzi. Adesso vi parlo da uomo e non da comandante. Siete stati dei ragazzi bravi, prima che bravi soldati. Sarà molto difficile dimenticare il meraviglioso “Quinto 85”. Vi auguro tanta fortuna e che il futuro vi riservi tante soddisfazioni, perché se continuate così ve le meritate.”
Poi strinse la mano a tutti e ci lasciò andare.

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