Il
resto dell’anno proseguì in modo tranquillo, secondo la solita routine
giornaliera.
Essendo
diventato autista, mi ero definitivamente stabilito nell’ufficio in cui si
gestiva tutto il carteggio degli automezzi, al Taliedo. Lì lavorava anche lo Squalo,
così nei momenti di intervallo ci ritrovavamo al bar insieme a Federico, che
lavorava al comando.
Eravamo
diventati molto affiatati e più il tempo passava più ci legavamo.
Ognuno
di noi faceva la sua corsa per tornare a casa il più possibile (ed in questo la
“lingua” dello Squalo era imbattibile), a Federico fu concessa addirittura la
licenza premio che, oltre per i suoi meriti, era un premio per tutto il nostro
scaglione (così ci disse il capitano), ma riuscivamo addirittura a tornare a
casa anche con un semplice permesso 8-12, cioè valido fino a mezzogiorno, ora
in cui poi ci si poteva avvalere della libera uscita e rientrare poi molto
tardi di notte, con qualche piccola complicità. Allora ci organizzavamo per
ottenere quel permesso in modo tale da riempire una macchina, la mia o quella
dello Squalo, per dividere le spese del viaggio. E così si partiva alla volta
della Toscana, premendo sull’acceleratore per accorciare il tempo del viaggio
ed arrivare prima, per sfruttare tutto quel poco tempo a nostra disposizione. Poi
la sera, puntuali, si ripartiva per essere a mezzanotte in caserma.
Alcune
volte però, invece di tornare a casa, andavamo a fare i turisti in alcune
città.
Ed
è così che ho visto per la prima volta Venezia e Milano, oltre a quelle un po’
più piccole, come Verona e Cremona, che in precedenza non avevo mai visitato.
Insomma
cercavamo di far fruttare al meglio quell’esperienza militare.
Ogni
occasione era buona per cercare di evadere, ma in senso positivo.
E
con questo spirito partecipammo ad un torneo di calcetto a Montichiari, facendo
una squadra che era costretta a cambiare formazione tutte le volte che giocava,
a causa dei turni di guardia e dei servizi.
Ovviamente
arrivammo ultimi nel nostro girone e fummo eliminati. Però ricordo ancora con
piacere l’unica partita che giocai, anche se perdemmo 6 - 3.
Quella
sera avevamo fatto fatica a trovare cinque giocatori da mettere in campo. Ed
essendo in cinque bucati non avevamo la possibilità di effettuare cambi per
riprendere fiato. Il quinto “atleta” era il maresciallo Esposito, che si
credeva un giocatore, ma che doveva fare i conti con l’età avanzata.
Fino
a quando ci resse il fiato giocammo alla pari con gli altri, fino al 3 - 3; poi
ci fu il tracollo.
Io
segnai due goals, di cui uno spettacolare, forse il più bello di tutti di
quelli che ho segnato durante la mia attività amatoriale in tornei e campionati
di calcio a 5.
Fu
proprio Esposito che mi fece l’assist.
Iniziò
l’azione sulla fascia sinistra del campo, triangolando con Giovanetti che gli
rese la palla. Lui scese fino sul fondo, poi rimise la palla al centro
rasoterra ed io, facendola passare fra
le gambe, la toccai di tacco facendola finire in fondo alla rete dal lato
opposto a quello in cui era piazzato il portiere. Alzai le braccia al cielo per
esultare ed anche il pubblico apprezzò quell’azione ed applaudì sportivamente.
Era
poca cosa, di poca importanza, in fondo era un torneo insignificante, ma a me
bastava per dare un senso a tutte le piccole cose che potevano aiutarmi a farmi
trascorrere meglio quell’annata.
E
così era utile anche una partita di calcetto.
Oggi,
a distanza di tanti anni, mi sto rendendo conto che ricordo maggiormente tutto
ciò che era positivo o allegro e quasi niente di ciò che mi dava fastidio, e di
conseguenza posso dire che, nonostante tutto quello che si possa pensare
sull’inutilità del servizio di leva, quell’anno è stato positivo ed utile.
Lì
ho potuto veramente capire che tipo di persona sono quando me la devo cavare da
solo, lontano da casa e sono contento di come mi sono comportato in quei
frangenti. Ho conosciuto amici che ancora frequento, ho cercato di aiutare
altri che invece soffrivano per la lontananza degli affetti familiari.
Quindi
dal lato morale e sentimentale sono cresciuto molto riuscendo a capire e
gestire i vari distacchi dai genitori, dal fratello, dalla fidanzata e dagli
amici abituali.
Dal
punto di vista squisitamente pratico sono grato a quell’anno perché sono
riuscito a prendere la patente per guidare camion e autobus, cosa che in molti
avrebbero voluto per le necessità nella vita normale. A me, grazie a Dio, non è
mai servita, perché ho sempre lavorato per ciò che ho studiato. Ma essere
riuscito a prenderla significa che anche in quel caso sono riuscito a fare
qualcosa per il meglio.
E
poi, sono soprattutto contento perché sono riuscito a rimanere me stesso,
impegnandomi anche quando era facile fare il contrario, e rimanendo coerente al
mio modo di pensare e di agire, rispettando me stesso e gli altri.
E
il congedo era ormai alle porte.
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