Era la vigilia di un compito di Ragioneria e rimasi a Firenze a studiare con Paolo e il Borzo.
Sapevamo che la verifica sarebbe stata con dati a scelta, partendo da un solo dato che ci sarebbe stato fornito. Noi scegliemmo quel dato e facemmo l’esercizio, simulando il compito, curando tutto con la massima attenzione.
Il giorno successivo a me e a Paolo toccò lo stesso compito, perché la professoressa alternò due esercizi in base alla fila in cui eravamo seduti. Con mia grande soddisfazione vidi che il dato iniziale era identico a quello che avevamo scelto il giorno precedente per prepararci. Con Paolo ci guardammo e stringemmo i pugni in segno di gioia, perché eravamo sicuri che avremmo preso un ottimo voto.
In classe, lui ed io, eravamo disposti in modo da formare una specie di “L”: io ero in prima fila, quasi di fronte alla cattedra, mentre lui era in seconda, a fianco della stessa, dal lato della finestra. Possibilità di copiare: zero.
Rifacemmo, per filo e per segno, la traccia dell’esercizio che avevamo fatto il giorno della preparazione.
Quando la professoressa riportò i compiti, però…
“Roberto, Paolo, sono molto delusa! Non mi sarei mai aspettata questo comportamento da parte vostra.”
Io non capivo e, guardando Paolo, vidi che anche lui non capiva quello che poteva essere successo.
“Non capisco, professoressa, che cosa è successo?” chiesi.
Il suono della sua voce cambiò e cominciò a urlare.
“I vostri compiti sono identici, è evidente che avete copiato. Vi ho messo due e a questo punto dell’anno…”
Mi arrabbiai ed alzai la voce.
“Non ho copiato nessuno. E poi guardi come siamo disposti. Le pare che possiamo copiare? Il fatto è che ha dato lo stesso compito che avevamo fatto il giorno precedente per prepararci; eccolo qui, può verificare.”
“Bene, così vuol dire che avete copiato dal quaderno! È ancora peggio. Ragazzi, devo portarvi dal preside per quello che avete fatto.”
Sentii la rabbia che mi stava assalendo, la faccia mi divenne bollente e sentii il rossore che la invadeva, il cuore cominciò ad andare a cento all’ora.
Paolo se ne stava zitto e a testa bassa, rassegnato, e non parlò mai.
Io non mi rassegnai.
“Io dal preside non ci vengo. Se ritiene di farcela, mi deve trascinare con la forza. Io non ho copiato e sono pronto a rifare il compito. Mi dia la possibilità di prepararlo come la volta scorsa, e se poi non lo rifaccio identico mi mette due, altrimenti mi chiede scusa davanti a tutti. E poi non penso che lei sia tanto stupida da non accorgersi che uno della prima fila sta copiando da sotto il banco.”
Così dicendo mi accorsi che mi ero alzato e che stavo gesticolando molto con le braccia. La classe era ammutolita e seguiva con una certa apprensione il nostro scontro. Paolo stava con la testa abbassata e non aveva il coraggio di parlare.
“Benassai, non ti scaldare tanto. Hai sbagliato ed ora andiamo dal preside.”
“Io la situazione la voglio sistemare ora, con lei. Siamo grandi e non credo che lei debba ricorrere al Preside come si fa con la mamma quando siamo bambini piccoli e facciamo a botte con qualcuno.”
“Molto spiritoso, davvero. Intanto ti prendi due…”
La interruppi violentemente urlando:
“Io due non lo prendo, io il compito l’ho fatto bene, e lei lo sa. Sono io che la porto dal preside, perché lei vuole rovinare tutto quello che ho fatto durante l’anno. Lei sa che non ho bisogno di copiare, da nessuno, per ottenere buoni risultati. I voti di sempre parlano chiaro. Vuole andare dal preside? Bene, domani mattina alle 8,30 io ci sarò, con mio padre. Voglio che ci sia anche lui a farsi due risate quando le sentirà uscire dalla bocca le bischerate che ha detto su di me questa mattina.”
Così dicendo conclusi la mia difesa. Il cuore mi batteva fortissimo, mi sentivo il viso infuocato e stavo tremando. Nessuno dei compagni di classe osò aprire bocca, nessuno si schierò, nessuno mi disse niente. Mi sarebbe bastata una pacca sulla spalla per farmi capire che non ero solo, invece niente.
Silenzio.
La professoressa, dopo aver riflettuto, con gli occhi fissi sul registro aperto, sentenziò:
“Bene, per questa volta non vi prendete due, però questo compito dovrete rifarlo.”
“Non c’è nessun problema, anche domani in presidenza” ribattei.
“No. Voglio crederti, ma.. cosa penseresti tu vedendo due compiti identici?”
“Che sono copiati. Ma lei mi conosce, professoressa, e sa che non ho bisogno di ricorrere a questi trucchi infantili, e nemmeno Paolo.” Quanto mi dispiacque pronunciare il suo nome!
“Va bene, va bene. Vi metterò sei, ma che non si ripeta!”
“Lei lo sa che vale otto” replicai.
“Benassai, accontentati e fa’ che non ci ripensi.”
Accennai un sorriso di soddisfazione, ma anche di rassegnazione per non aver ottenuto il voto che ritenevo giusto. E, visto che mi ero ritrovato inavvertitamente ancora una volta in piedi, mi rimisi a sedere. E questa volta mi tranquillizzai.
Più tardi Paolo venne da me.
“Sei una forza, ma come hai fatto?” domandò.
“Vaffanculo, stronzo!” avrei voluto rispondergli. Invece lo guardai malamente senza dirgli niente e per un po’ di tempo trovai molto difficile rivolgergli la parola.
Caro Roberto,ho scoperto da poco il tuo blog
RispondiEliminaSono di Monza e da circa 30 tento... discrivere poesie altre cosette.
Possiamo blogare insieme?
Ben-venuta Anna!
RispondiEliminaLa scrittura: passione che abbiamo in comune, a quanto intuisco.
Spero che tu trovi argomenti, qui, che ti consentato di restare al Rifugio a lungo.
Presto verrò a leggere le tue... cosette.
Ciao