venerdì 23 dicembre 2022

E sarà Natale

Le giornate sono molto brevi.

La mattina e la sera hanno lo stesso colore e lo stesso calore.

Quando rientro a casa, dopo il lavoro, è buio e non posso fare a meno di guardare le piccole luci che si affacciano ai tanti balconi delle case. Le più temerarie osano affrontare il vento, sfidandolo in una danza che sembra non finire mai.

Le luci dei negozi sono invitanti, mentre quelle di alcune strade paiono… timide.

L’aria, se l’annusi, sa di festa.

Sono a casa e mi sorprendo a guardare l'albero di Natale con le sue lampadine colorate, preferendo il momento in cui la luce passa lentamente da una all'altra, quasi a formare un'onda, prima di riprendere con un ritmo da balera.

Arriva la notte e, proprio nel momento in cui le luci possono dare il meglio di sé, alcune si spengono, mentre altre resisteranno fino all'alba, quando il giorno dominerà su tutte loro.

Poi tutto riprenderà, per un po' di tempo, fino a svanire nella nebbia dell'oblio per un intero anno, prima di ricominciare tutto daccapo, in un balletto di luci che si rinnoverà ancora e ancora.

Ma una luce, una soltanto, riuscirà a penetrare dentro di noi e a illuminarci il cuore. 

E sarà Natale.  




martedì 1 novembre 2022

Quasi

 

Non ricordo bene come decisi di andare a quel convegno.

La materia era di per sé inutile per il mio lavoro e per i miei interessi, ma quel titolo, così accattivante, fu per me un richiamo irresistibile. Andai sul sito, feci l’iscrizione e, sempre online, comprai il biglietto del treno per andarci.

Arrivato sul posto, all’interno di una fortezza medievale nel centro storico della città, cercai e, per fortuna, trovai l’Aula Magna. Andai a sedermi in seconda fila. C’erano alcune persone arrivate prima di me. Mi guardai attorno per cercare di capire se ero nel posto giusto, perché mi sembrava che ci fosse poca gente. L’aula era buia, più che buia era in penombra, insomma non c’era tanta luce. Forse era presto e ancora dovevano accendere tutte le lampade.

A poco a poco le poltrone cominciarono a riempirsi e nel giro di una decina di minuti il convegno ebbe inizio.

«Buongiorno e benvenuti al convegno “Lo sport, metafora della vita”. Oggi parleremo…»

E lì ebbe inizio il bla bla bla della giornata. Tutti discorsi filosofici che presto mi fecero assopire, gli occhi mi si appesantirono ma non si chiusero, pertanto ero sveglio, ma non abbastanza da rimanere concentrato sull’argomento. Così mi distrassi e cominciai a pensare ai fatti miei, rimproverandomi per aver speso tutti quei soldi per una noia così grande.

Stavo sul punto di addormentarmi, questa volta per davvero, quando improvvisamente fui svegliato da una voce che mi sembrò particolarmente vicina alle mie orecchie. Infatti aprendo gli occhi e sollevandoli verso l’alto, vidi sopra di me il volto del relatore che evidentemente faceva i suoi bei discorsi camminando su e giù per la sala, col il suo minuscolo microfono attaccato al bavero della giacca.

«Pertanto, alla luce di quanto fin qui esposto, che cosa potremmo rispondere se ci venisse fatta la domanda: “Chi sei tu?”»

E rimase lì, pietrificato, con un ghigno diabolico a guardarmi coi suoi occhi sbarrati e nervati di sangue, come se avesse deciso di non muoversi prima di aver ottenuto da me una risposta.

Mi tirai su dalla poltrona nella quale ero sprofondato nel goffo tentativo di darmi un contegno e mettermi composto.

Quella domanda rivolta a bruciapelo mi aveva colto di sorpresa, negandomi la prontezza di rispondere subito. Dovetti pensarci un po’. Un attimo, un frangente durante il quale la mia mente ripercorse la mia vita. Come direbbero quelli che hanno visto la morte in faccia, la vita mi è passata davanti agli occhi. Beh, non tutta, gran parte.

Non c’è stato molto da ripercorrere, in realtà, perché la mia vita è sempre stata un po’ così… così… insomma, se fosse un film sarebbe un cortometraggio, se fosse un menù avrebbe una portata, forse due, se fosse… meglio chiuderla qui, altrimenti rischio di deprimervi.

Istintivamente sono andato con la memoria ai tempi in cui ero bambino. Per capire chi sono, dovevo partire un po’ da lontano, dalla preistoria e vedere chi ero.

Così ho visto un bambino, né alto né basso, né biondo né moro, né grasso né magro, goffo per alcune cose, abile per altre.

Un bambino con la voglia di giocare, ma senza sapere con chi farlo, che si tuffava nello studio per cercare di capire di più il mondo. A vedere come stanno andando le cose, verrebbe da dire che la partita era persa in partenza.

A proposito di partite, in questo caso di calcio, rimarrà indimenticabile quella che avrei dovuto giocare e che non ho mai giocato.

lunedì 2 maggio 2022

IL COLORE DI MEZZO

IL COLORE DI MEZZO

Quando ti vidi stavi correndo in tutta fretta verso la fermata dell’autobus. Eri in ritardo di una manciata di secondi, ma non volevi perderlo. Mi colpirono i tuoi capelli oscillanti, castani con dei riflessi biondi disegnati dal sole. Io ero fermo al semaforo della strada che si incrociava con quella sulla quale stavi correndo. Aspettavo il verde per poter attraversare un piccolo torrente. Sembrava non arrivare mai ed in me cresceva il desiderio di vedere il tuo volto. Sai com’è in questi casi? Più desideri che il semaforo diventi verde, più quello si ostina a restare rosso. Sembra che lo faccia intenzionalmente. Non aspetti altro che ripartire e quello, invece, ti tiene il piede inchiodato sul freno. Quel maledetto rosso!

Alla radio cominciarono gli annunci pubblicitari. Abbassai leggermente il volume.

lunedì 25 aprile 2022

Diario dal Covid - Giorno 4

Me ne sto nella mia stanza. Non mi manca niente: tv, computer, telefonino, un divano che mi fa da letto, un carrellino porta stampante costruito una ventina di anni fa che è diventato un comodino, Bibbia, libri che per ora non ho voglia di leggere, e due finestre, di cui una sul tetto che permetterebbe, qualora ci fossero, di addormentarsi guardando le stelle. Ma per ora, spesso, ho sentito il rumore della pioggia sul quel vetro. 

Ci siamo dovuti organizzare in famiglia, per dividere gli spazi, cercando di sanificare tutto dopo ogni spostamento. È una rottura, ma c'è di peggio.

Nei primi giorni non ho avuto voglia di pensare. Forse avevo bisogno di riposare. Così ho guardato la tv, qualche video sul telefonino, una noia che non sto a dire.

Stanotte ho dormito male, così questa mattina, mi sono rimesso nel letto ed il mio cervello, nel momento in cui tentavo di dormire, si è riacceso. Non si può spegnere il cervello come si usa un interruttore della luce.

Il silenzio si è fatto sentire. Oddio, per me silenzio è una parola grossa. Da anni, ormai, per me il silenzio equivale ad un leggero ma ininterrotto fischio che accompagna ogni attimo della mia giornata. H 24, direbbero quelli che hanno fretta di rendere il concetto.

Così sono tornato qui, caro Rifugio, per scrivere quei pensieri che hanno avuto origine durante quel fischio.

Ho pensato che sto bene, grazie a Dio, e spero di poterlo dire anche nei prossimi giorni. Se non sapessi di essere positivo, direi di aver preso fresco andando con lo scooter. Ma se sto bene pur avendolo preso e nessun camion ha trasportato, a mia insaputa, il mio corpo, credo di dover dire un bel grazie a coloro che hanno impegnato le loro energie, e talvolta la loro vita, per permettere agli altri di poter stare bene.

Questo pensiero si accompagna alla giornata di oggi, anniversario della Liberazione. Spesso diamo per scontata la nostra libertà ma, pandemia a parte, le attuali vicende belliche ci insegnano ancora una volta che non è così. Niente è scontato, niente possiamo fare da soli. Invece il nostro istintivo egoismo di merda, ci fa ritenere sempre al di sopra di tutto, come se fossimo intoccabili e tutto può accadere, ma solo agli altri.

Spesso ci lamentiamo che non abbiamo tempo. Me compreso. È così, è un dato di fatto. Ma ci manca quando potremmo sfruttarlo, quando ci renderebbe la vita più bella o, se non più bella, più facile o meno dura.

Ma quando questo tempo c'è, ma non è desiderato, beh, allora sembra troppo. 

E quasi inutile.

domenica 3 aprile 2022

Ciao Suor Anna

Una canzone degli anni Ottanta diceva più o meno così:

Words, don’t come easy, to me

This is the only way for me to say…

È così anche per me. Quando le parole non mi vengono facilmente, l’unico modo che ho per dirle è scriverle.

Sono stato un po’ titubante, ma poi ho deciso di scrivere.

Appena ho saputo sono andato subito ad aprire i nostri ultimi messaggi scambiati su whatsapp. Chissà perché l’ho fatto. Forse perché non mi sembrava possibile, non volevo crederci.

Te ne sei andata nella notte, eppure il messaggio che appariva era “ultimo accesso oggi alle 9,05”. Allora vedi che anche per il social non era vero?

Ma sappiamo bene che non è così.

Te ne sei andata in silenzio, come quel silenzio che ha caratterizzato gli ultimi anni, dopo che avevi dovuto abbandonare la nostra comunità per tornare alla sede generale. Già questo non faceva presagire niente di buono, ma tu, in quelle poche volte che era stato possibile parlare per telefono, dicevi che stavi benino, cosa che hai continuato a scrivere, quando i nostri dialoghi sono diventati messaggi.

Volevo venire al tuo funerale, ma circostanze quotidiane me lo hanno impedito. So già che non averti accompagnato in questo tuo ultimo viaggio terreno mi peserà a lungo.

E così è cominciata la ricerca dei ricordi, per sentirti più vicina. Non è stato facile trovare qualche foto. Tu, sempre schiva, cercavi di evitarle. Mi ricordo le tue parole quando inserii, per tua sorpresa, una tua foto fra i collaboratori di uno spettacolo che avevamo portato avanti insieme. La didascalia era “Quelli che pregano per i Custodi della Via”. Avevi un bel sorriso in quella foto. E come poteva essere altrimenti?

Invece non ho trovato una foto che ci ritrae insieme. Mi sarebbe piaciuto tanto, sai?

Ma poi ho pensato che non ne avevo bisogno, perché i ricordi più belli sono già dentro di me.

È stato come un susseguirsi di immagini: i nostri incontri per parlare degli spettacoli da fare in Parrocchia, per farmi dire da te se un messaggio sarebbe passato o meno, per farti ascoltare le canzoni o leggere i testi che avevo scritto. E tu, paziente e cortese, mi dicevi quello che c’era da dire e le modifiche da apportare, come quella volta che volevo un finale diverso dal testo e tu mi facesti cambiare idea. Avevi ragione tu.

I tuoi suggerimenti sono stati sempre preziosi per me, anche quando ti parlavo delle attività che portavo avanti con i ragazzi, mossi dal comune desiderio di cercare "il suo Volto e il bene dei ragazzi". Mi hai insegnato tanto.

Ma quando ci incontravamo parlavamo anche di altro, come un figlio fa con una madre. E tu avevi tanti altri figli. A volte non era facile parlare con te: tutti ti volevano, tutti ti cercavano, dai più piccoli ai più grandi.

Hai ascoltato i miei dubbi, le miei gioie, le mie arrabbiature, le mie esperienze, ti sei sempre interessata a me, alle mie passioni, ai miei problemi, alla mia famiglia.

Le tue parole mi rasserenavano, sapevi sempre tirar fuori la parola giusta al momento giusto. Qualche volta hanno asciugato delle lacrime prima che avessero la forza di venire fuori.

Ricordo quelle volte che ci siamo abbracciati, con quella strana sensazione di non poter entrare in contatto con la tua pelle a causa del tuo particolare abito.

Ricordo quando dicevi “Prega!” ed io ti rispondevo “Ci provo, ma le mie non sono buone, non arrivano a destinazione. Le tue invece arrivano, sono potenti!”

E tu ridevi. 

Già, il tuo sorriso. Ricordo il tuo sorriso.

Oggi ho riletto gli ultimi messaggi della chat: io ti avevo inviato l’ultimo racconto e tu mi avevi risposto “Grazie Infinite”.

Sono io che ti ringrazio, di cuore, per tutto. 

Appariva la scritta “ultimo messaggio mer ore 9,05”.

Il tuo telefono si è spento.

Per sempre.

Ciao Suor Anna. 

domenica 27 febbraio 2022

Tratto da «Fratelli tutti» di Papa Francesco

261. Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male. 

Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Rivolgiamo lo sguardo a tanti civili massacrati come “danni collaterali”. Domandiamo alle vittime. Prestiamo attenzione ai profughi, a quanti hanno subito le radiazioni atomiche o gli attacchi chimici, alle donne che hanno perso i figli, ai bambini mutilati o privati della loro infanzia. Consideriamo la verità di queste vittime della violenza, guardiamo la realtà coi loro occhi e ascoltiamo i loro racconti col cuore aperto. 

Così potremo riconoscere l’abisso del male nel cuore della guerra e non ci turberà il fatto che ci trattino come ingenui perché abbiamo scelto la pace.

sabato 5 febbraio 2022

Adagio nella nebbia

 Ho prestato questo racconto ad un romanzo.

Adesso desidero ricollocarlo nella sua dimensione originaria.




Puoi leggerlo CLICCANDO sulla copertina.

Buona lettura.


giovedì 13 gennaio 2022

Fermo immagine

“Dicono che porto bene la mia età, 

ma a me sembra di essere soltanto il ricordo di un uomo, 

di quell’uomo che sono stato”




Questo è il mio ultimo racconto e mi fa piacere condividerlo sul Rifugio, con un'apertura del tutto straordinaria, in questo giorno per me particolare.

Puoi sfogliarlo oppure andare alla pagina per leggerlo con calma CLICCANDO QUI.

Buona lettura.

Roberto