Un giorno tuo
padre convocò tutta la famiglia per comunicare una notizia.
«Presto
anche noi avremo una macchina. Sono andato in città e ne ho comprata una. È
bellissima, di colore grigio metallizzato ed è molto adatta per le nostre
necessità».
«Ma babbo, tu
non hai la patente», replicasti.
«La prenderò»,
rispose in maniera perentoria. «Mi sono stancato di essere accompagnato dagli
altri o di portare te o tua madre sulla sella posteriore del motorino!»
Lo disse
guardandola negli occhi e a te parve che i loro sguardi, per un attimo, si
accarezzassero.
«Dovremo fare
una rimessa», riprese.
«E dove la
facciamo?» domandasti.
«In realtà non
dobbiamo costruirne una nuova, ma fare un garage al posto della capanna della
legna», rispose.
«Non è giusto!»
gridasti. E scappasti via, di corsa, senza voler sentire nessuna ragione. In
pochi secondi raggiungesti il tuo rifugio e, con un movimento acrobatico che
conoscevi a memoria, balzasti dentro alla tua trincea, questa volta per
difenderla. Da un po’ di tempo dovevi fare più attenzione del solito
nell’effettuare quel salto, perché avevi l’impressione che quel luogo si fosse
fatto più piccolo ed era molto facile graffiarsi o sbattere da qualche parte.
Tuo padre ti
chiamò varie volte, poi decise di lasciarti il tempo per farti sbollire la
rabbia.
Tirasti fuori
dalla scatola un mangianastri e infilasti una cassetta. Premesti il tasto PLAY
e alzasti il volume al massimo. Iniziò una canzone di Patrick Hernandez che
stava spopolando nelle discoteche e che era molto ballata anche nelle feste in
casa: It’s good to be alive, to be alive,
to be alive, it’s good to be alive.
Quelle parole
sembravano prendersi gioco di te. Spengesti tutto e lasciasti che il mondo
restasse fuori.
Non riuscivi a
immaginare che uno stupido garage prendesse il posto del tuo rifugio. Per te
non era una semplice rimessa di legna, ma un luogo capace di abbracciarti e
coccolarti, che di tanto in tanto dovevi rimodellare per renderlo nuovamente
accogliente dopo che altri pezzi venivano accatastati per rimpiazzare quelli
utilizzati per scaldare le fredde giornate d’inverno.
Con l’auto,
arrivò anche un nuovo impianto di riscaldamento alimentato a gas, così la legna
e il tuo rifugio se ne andarono insieme.
Il giorno in cui
avvenne tutto questo tu eri in gita scolastica, ma prima di partire prendesti
la tua macchinetta fotografica. C’era solo uno scatto disponibile in quel
rullino. Con attenzione, per non sciuparla, scattasti la foto al tuo rifugio.
Al tuo rientro
non c’era più niente e provasti un gran vuoto.
Quella foto in
bianco e nero, un po’ ingiallita dal tempo, giace nella soffitta, in uno
scatolone che non hai più aperto dopo l’ultimo trasloco.
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