Ripetevi queste
parole dentro di te mentre correvi a perdifiato attraverso i campi per
raggiungere il tuo rifugio. Ogni tanto ti voltavi indietro per vedere se i tuoi
inseguitori si fossero avvicinati. Non vedevi nessuno, ma non rallentavi la tua
corsa. Come in una danza, ti abbassavi per schivare i rami alti delle piante e
poi saltavi per non sentire la frustata di quelli in basso nelle tue gambe nude.
Ti sembrava di
non arrivare mai. Correvi a testa bassa, guardando i tuoi piccoli piedi
dimenarsi, con la terra che entrava dagli occhi dei tuoi sandali blu. Più forte
correvi, più forte sentivi il tuo cuore che batteva all’impazzata, quel cuore
che batteva così solo per quella bambina che a scuola era nella tua stessa
classe, quel cuore che batteva così quando lei ti salutava con la sua flebile
voce.
Il fiato si
faceva sempre più grosso, ma la meta si avvicinava sempre più, ormai era alla
portata dei tuoi occhi, bagnati da calde gocce di sudore che scendevano dalla
tua madida fronte.
Eccolo!
Finalmente il rifugio era lì. Entrasti di corsa e spiccasti un balzo per
afferrare la trave, una mezza piroetta e ti ritrovasti al sicuro, seduto in
quella buca scavata fra tanti pezzi di legna, tagliati uno ad uno dalle braccia
forti e vigorose di tuo nonno. Nessuno adesso poteva vederti, nessuno poteva
trovarti. Non c’era più paura.
Rimanesti ad
occhi chiusi per alcuni minuti. Non sentivi rumori fuori. I tuoi inseguitori
erano stati seminati. Il cuore tornò a battere regolarmente ed il respiro fece
di nuovo pace col tuo corpo.
Il silenzio, poi una sensazione di pace.
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