Il grido di tua
madre ti risvegliò.
«Dai, smetti di
giocare e vieni in casa a fare i compiti!»
«Mi sono
addormentato», pensasti. «Ma quanto tempo ho dormito?»
«Arrivo subito,
metto a posto una cosa e vengo!» rispondesti a tua madre.
Non lo dicesti
così, tanto per dire, dovevi sistemare veramente alcune cose.
In quella baracca
fatta di plastica e tenuta in piedi da pali e travi di castagno, montata da tuo
padre per riporvi la legna da ardere, avevi costruito la tua trincea. A te
bastava stare seduto lì dentro, circondato da tanti pezzi di legna, per
sentirti al sicuro e per lasciare spazio alla tua fantasia.
Lì giocavi, sognando
le avventure più impensabili. A volte immaginavi di essere a bordo di una
navicella spaziale, altre di essere al volante di un’auto da corsa. Lì
cominciasti a scoprire la musica, ascoltandola alla radiolina gialla che tuo
padre aveva comprato da un venditore ambulante. Era più piccola della tua mano,
ma a te, che non ne avevi mai viste prima, sembrava qualcosa che provenisse dal
futuro. Lì, ascoltando le partite la domenica pomeriggio, fantasticavi di
diventare un calciatore.
Lì ti facevi
coraggio per dichiarare il tuo amore a quella bambina che piaceva anche a tutti
i tuoi compagni di classe. Lì speravi che lei, dopo aver guardato tutti,
rispondesse “Sì” rivolgendosi a te, soltanto a te. Lì sognavi di stare su una
spiaggia con lei, accoccolati ad
ascoltare il mare, proprio come cantava Claudio Baglioni in quella canzone che
era nella hit parade e che ti piaceva tanto.
Prendesti la
radiolina, alcuni giornalini a fumetti e li riponesti in quella vecchia scatola
da scarpe che tua madre, invano, aveva tanto cercato. Poi nascondesti tutto con
cura sotto uno strato di legnetti.
«Ma insomma,
quante volte devo ripetere le stesse cose?» incalzò tua madre.
«Arrivo!»
Con un balzo scendesti e ti avviasti verso casa, dove un quaderno, un
sussidiario e un astuccio con tante matite e qualche penna ti stavano
aspettando.
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