In questa domenica piovosa ho scelto di riposare lasciandomi avvolgere dal mio caro divano: un accumulo di energia in attesa dell’inizio della settimana che sta per iniziare.
Fra una lettura di poesie e una chiacchiera in famiglia, mi sono ascoltato le canzoni del Festival di Sanremo. Mi sono piaciute, quasi tutte.
Quello, però, che mi è piaciuto di più è stato vedere che ci si può ancora commuovere per la gioia. E allora quelle lacrime diventano il modo più alto per esprimere quello che, in quel momento, non sarebbe possibile esprimere altrimenti. E lì ti rendi conto che anche chi sembra inavvicinabile, alla fin fine è, comunque, una persona.
Caro Ben,
RispondiEliminanon posso esprimere un giudizio sulle canzoni di Sanremo, perché quest'anno non ho seguito il Festival.
Non so dunque neanche chi si è commosso e ha pianto di gioia.
Puoi ragguagliarmi al riguardo?
Comunque hai ragione: è in presenza di manifestazioni umane come il pianto, anche di gioia, che offriamo l'aspetto più umano (e talvolta indifeso) di noi stessi.
E a volte può piacevolmente sorprendere riscoprirsi vicendevolmente persone rispetto alle emozioni della vita.
Un caro saluto
Qualcuno lo ha fatto, a partire dalla vincitrice. Ma questo si può estendere anche ad altre attività. Quante volte abbiamo visto atleti, "macchine perfette", lasciarsi andare alla lacrime alla fine di una gara o sul podio?
RispondiEliminaQuanto attori, al ritiro di un premio? E si potrebbe continuare.
La gioia per aver raggiunto un obiettivo, inseguito, a volte sognato, a volte insperato.
Allora quelle lacrime ri-umanizzano.
Luce che cade dagli occhi, come recitava una canzone.