mercoledì 1 febbraio 2012

Quattro passi... con Ben - Sessantaduesima puntata

Dopo una settimana dal mio arrivo, la mia famiglia e Cinzia vennero a farmi visita. Avevo informato il mio maresciallo di questa eventualità per farmi dare un permesso speciale.
Quella mattina non stavo nella pelle, sembrava un’eternità che non li vedevo, soprattutto Cinzia. Sapevo che sarebbero partiti da casa molto presto, perché questa è sempre stata una nostra abitudine familiare.
Dopo l’alzabandiera fui accompagnato regolarmente al Saporiti, ma spesso mi affacciavo o andavo fuori per vedere se arrivavano, perché dovevano passare di lì, ed essendoci solo una rete di recinzione che delimitava la caserma dalla strada, si poteva benissimo vedere chi passava.
“Stai calmo che ora arrivano” mi diceva il maresciallo Badia.
“È strano, partono sempre molto presto, non sarà mica successo qualcosa?”
“Ma cosa vuoi che sia successo? Tu l’hai vista la strada: è facile che si siano sbagliati o che siano finiti all’entrata dell’aeronautica, lo fanno tutti. Dai, lavora un po’, altrimenti non ti firmo il permesso.”
Ero impaziente, poi all’improvviso:
“Eccoli, Maresciallo! Quella è la Uno nera di mio fratello!”
“Che ti avevo detto?”
Si stavano dirigendo alla centrale. Io seguivo, da lontano, tutta la scena.
Scesero e suonarono. Il sottufficiale di servizio uscì dalla baracca e andò verso l’ingresso dove cominciarono a parlare attraverso le inferriate del cancello. Poi i miei risalirono in macchina, il cancello si aprì ed entrarono fermandosi al parcheggio. A piedi entrarono nel casotto.
Dopo alcuni minuti suonò il telefono. Il maresciallo rispose:
“Pronto, Saporiti… Sì, lavora qui. Ci penso io... Grazie.” E dopo una breve pausa:
“Devi andare in centrale, ma il permesso te lo firmerà il comandante. Buona giornata, ci vediamo domani, divertiti!”
“Grazie Maresciallo, arrivederci.”
E così mi incamminai a passo svelto verso la centrale, con il cuore che batteva forte, e ancora più forte via via che mi avvicinavo. Mi tolsi il cappellino di testa ed iniziai una corsetta per arrivare più in fretta.
Finalmente li vidi. Abbracciai mia madre.
“Stai bene? Sei dimagrito!”
“Magari!”
Poi abbracciai e salutai mio padre, mio fratello ed infine Cinzia. Quello fu l’abbraccio più lungo ed intenso, poi le detti un bacio ed infine riuscii a dirle: “Ciao.”
“Il viaggio è andato bene?”
“Sì, abbiamo seguito le indicazioni, ma per trovare questa stradina abbiamo dovuto chiedere due volte. Poi ci hanno mandati al cancello dell’aeronautica” rispose Mauro.
“E ora che dobbiamo fare?” chiesi al sottufficiale.
“Ora dovete aspettare che arrivi il comandante con il permesso; ha detto che vuole conoscervi. Dovete pazientare.”
E pazientammo.
Dopo circa venti minuti il comandante arrivò. Entrò nella baracca. Io feci il saluto, ma lui subito mi disse di stare comodo. Si presentò:
“Io sono il Tenente Colonnello Mario Gelato, comandante di questa caserma. Mi scuso se vi ho fatto aspettare, ma volevo proprio vedervi, perché non capita mai che un soldato riceva visite dai propri familiari, soprattutto provenienti da così lontano. Vostro figlio è un bravo soldato, i suoi superiori me ne hanno parlato bene; lavora, si impegna, fa le guardie, insomma fa bene il suo dovere. Pertanto gli concedo molto volentieri una giornata di permesso. Bene, artigliere Benassai, questo è il permesso, buona giornata e … rientra in orario!”
“Sarà fatto, Signor Comandante. Grazie!”
Salutò tutta la famiglia e finalmente potemmo uscire.
Passai rapidamente al fortino per cambiarmi e poi partimmo alla volta del lago di Garda.
Ci fermammo a Desenzano. Per i miei genitori, che raramente si erano mossi da Pistoia, era una cosa fantastica vedere quell’enorme massa d’acqua. Mia madre era letteralmente entusiasta. Ogni poco era un’esclamazione: “Che bello!”
Mio padre invece era più compassato, si gustava quei posti con gli occhi ed un sorrisetto sulle labbra, senza proferir parola. Mauro invece era più navigato ed era già stato lì in precedenza. Io li guidavo, ma spesso lui mi anticipava, dicendo il luogo dove meritava di andare.
Per quanto riguarda Cinzia e me, beh, avevamo del tempo da rimettere, per cui i nostri occhi erano solamente per gli occhi altrui.
Dopo Desenzano andammo a Sirmione, dove ci fu un’altra ondata di “Che bello!” da parte di mia madre ed altri sorrisetti convinti di mio padre.
Il tempo trascorreva inesorabile e la giornata stava volgendo al termine. Era passata troppo in fretta, come tutte le cose belle. Mi resi conto che era la prima volta che la famiglia, tutta insieme, aveva fatto una gita lontano da casa, in un luogo che fosse al di fuori della Toscana. Sì, d’accordo, l’occasione era particolare perché io ero militare, ma viaggiare tutti insieme, in luoghi da ricordare per sempre, sarebbe stata una cosa che in futuro non si sarebbe più verificata. Avvertendo quella sensazione cercai di gustarmela fino alla fine.

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