domenica 6 novembre 2011

Quattro passi... con Ben - Cinquantacinquesima puntata

C’erano anche dei momenti di divertimento e di aggregazione fra di noi.
Le sere in cui potevamo uscire andavamo a mangiare quasi sempre in una pizzeria del centro, perché si spendeva poco. Ma quella era solo la seconda tappa delle libere uscite. La prima era andare alla Sip ed aspettare il proprio turno per telefonare a casa, per dire che andava tutto bene, che era caldo, ma non insopportabile, di non preoccuparsi che il cibo era buono e tutte quelle cose che servivano a fare stare meno in ansia chi era a casa. Questi erano gli argomenti riservati ai genitori.
Poi, altra scorta di gettoni e pronti per la telefonata più desiderata: quella con la fidanzata.
Credo che tutte le telefonate di noi militari si assomigliassero. Si raccontava la giornata che era trascorsa, si prediceva ciò che avevamo in programma per la serata, cioè dove saremmo stati a cena e dove avremmo aspettato la ritirata, per poi finire dichiarando il nostro amore e quanto fosse grande la mancanza di lei.
Dopo due telefonate così, la prima piena di mezze bugie rassicuranti, la seconda che ci riempiva di tristezza per non avere vicina la dolce metà, spesso si usciva dalle cabine telefoniche a pezzi, peggio di quando eravamo entrati, desiderosi di sentire le voci dei nostri cari.
Eh sì, la lontananza si faceva sentire, eccome! E nonostante ognuno di noi mettesse del proprio meglio per far finta di niente, le serate finivano sempre, in branda, raccontando fatti ed episodi della nostra vita sentimentale, per chi ne aveva una. Chi invece non l’aveva, ascoltava o parlava di altro. Ma c’era anche chi diceva di averla avuta o se la inventava di sana pianta. Le più buffe e più veritiere erano quelle che raccontava il Colonnello: questo era il soprannome che avevamo dato ad un avvocato di Montecatini, o paesi limitrofi, in virtù del suo aspetto e della sua istruzione. Aveva finito giurisprudenza, era un quasi avvocato, capelli corti di colore rosso e barbetta molto curata, fisico atletico.
Lui amava raccontare le sue prestazioni sessuali con le ragazze d’oltre confine. Da come le raccontava sembrava che già si fosse arruolato, ma nella legione straniera! Ogni storia aveva per protagonista una ragazza diversa, di un paese diverso.
“Dai Colonnello, facci sognare” lo esortavamo noi.
Lui, dopo aver fatto finta di riflettere un po’ per frugare nella memoria, cominciava:
“Ve l’ho raccontato di quando sono stato a Londra? Era il mese di...”
Il resto lo lascio immaginare a chi avrà la pazienza di leggere queste mie righe.
Era l’unico che era venuto in macchina, una Fiat Regata Energy Saving, una novità per quei tempi. E questo ci permise di andare spesso a Pescara a farci il bagno la sera o la domenica di libera uscita.
Le persone con cui avevo legato di più erano quattro o cinque: oltre al Colonnello c’era Roberto, di Quarrata, e due marchigiani: Pilone, soprannome dettato dalla sua stazza fisica, di Macerata, di cui non ricordo più il nome, ed Alberto, di Ascoli, il mio compagno di branda, che invece era l’esatto contrario di Pilone, alto sì, ma secco come un uscio.
Questi sono coloro che ricordo di più di quel mese del Car a Chieti. Tutti gli altri sono volti sfuocati, che vanno e vengono nella memoria. Così come la città di Chieti che non ricordo bene, nonostante ci abbia trascorso un intero mese. Se chiudo gli occhi e penso, ricordo vagamente una piazza a forma rettangolare, la strada della caserma, e i giardini della Villa. Tutto il resto è nebbia.
È come se la mia memoria avesse voluto cancellare gran parte di quel periodo.

9 commenti:

  1. Pescara ... Chieti...o Ben, queste città non mi sono del tutto estranee!
    Molti spunti da questa puntata di "Quattro passi": ne approfitterò, come sempre.
    Buona domenica!

    RispondiElimina
  2. Bene!
    Magari riesci a farmi tornare la memoria... geografica!

    RispondiElimina
  3. Caro Ben,
    sicuramente quando hai fatto il CAR io vivevo ancora a Roma, ma ora ogni volta che vado a Chieti - non spesso, ma capita - passo davanti alla caserma e nella piazza di cui parli: percorso obbligato per raggiungere il centro, che non è molto distante da lì. Penserò a te la prossima volta.
    Pescara è una città molto diversa da Chieti: ha un bellissimo lungomare ed è moderna. Penserò ai tuoi bagni nell'Adriatico la prossima volta che andrò a Pescara (più spesso che a Chieti).
    I gettoni del telefono?! Che bel ricordo!
    Strano come certe immagini acquisiscano la capacità di intenerirci, nel ricordarle, vero?
    Un caro saluto.

    RispondiElimina
  4. Cara Ines,
    il mio era più un ammollo che un bagno. All'epoca non sapevo ancora nuotare. Tuttavia era molto utile per fare, una volta uscito, una doccia seria, che in caserma non riuscii mai a fare.

    Le corse per impadronirsi di una cabina libera! Beh, sì, gettoni e cabina avevano il loro fascino.
    Oggi una telefonata può essere improvvisata. A quei tempi, invece, era... premeditata, e alcune volte c'era pure il fascino dell'attesa.

    Ti ringrazio fin da ora per i tuoi futuri pesnsieri.

    RispondiElimina
  5. Il primo gettone telefonico fu presentato dalla STIPEL alla Fiera di Milano del 1927.
    Nel 1959 nacquero i gettoni utilizzati da BEN tre generazioni fino al 31 dicembre 2001, quando furono definitivamente sostituiti dalla scheda telefonica...oggi sostituita da un cellulare pro-capite e buonanotte. :-)
    Caro Ben!
    Quanti ricordi legati a un gettone!
    Uno tra tanti: quando si era al mare e si riempivano di sabbia al punto da bloccare il telefono pubblico e dovevi assolutamente avvertire la mamma di un possibile ritardo.
    Quanti ricordi legati a una divisa militare!
    Uno tra tanti: l'odore della divisa da fante di mio fratello, quando tornava per una licenza di cinque giorni più due, se ricordo bene (i due erano per il viaggio Alessandria-Roma, Roma-Alessandria).
    Era un odore che mi piaceva tanto: aveva il buono del "ritorno" e di un lungo abbraccio.
    Le vostre telefonate da militari e le nostre trepidanti attese di familiari dei soldati...Ah....
    Alla prossima

    RispondiElimina
  6. Ma lo sai, Ines, che non sono mai tornato a casa in divisa? E nemmeno in licenza 5+2?
    Mi sa tanto che scatenerò ulteriori ricordi con le prossime puntate.
    Ciao.

    RispondiElimina
  7. Tieni presente, caro Ben, che per quanto riguarda il maggiore dei miei fratelli (a cui facevo riferimento) parliamo degli anni tra il 1965 e il 1967. Avevo soltanto 57 anni - ?! :-) - e potrei ricordare male, ma del fatto che tornasse in divisa sono sicura: era troppo bello perché non lo ricordi.
    Bello, mio fratello, intendo: così appariva a me che ero una bambina, anche un po' "innamorata" di lui.
    Prima di tornare alle telefonate una domanda. Bruciami in partenza se è previsto che ne parli nelle prossime puntate.
    Fenomeni di nonnismo ce n'erano, in caserma?
    Ciao!

    RispondiElimina
  8. Il maggiore? Ah, dunque era un ufficiale! :-)
    Nonnismo? Poco o niente, sono stato fortunato.

    RispondiElimina
  9. Bella questa del mio "fratellone" ufficiale, Ben!
    Ci siamo dentro, ormai: gli episodi di nonnismo nelle caserme.
    Penso che siano sempre esistiti, seppur presenti in forme più o meno gravi o, talvolta, come manifestazioni goliardiche da prendere allegramente.
    Eppure negli ultimi anni non sono mancate denunce di maltrattamenti subiti in alcune caserme, tali da indurre alcuni giovani al suicidio.
    Maltrattamenti inaccettabili oppure una eccessiva fragilità psicologica dei ragazzi di oggi?
    Chissà ...
    Intanto mi preparo a un tuffo nel passato: noi che aspettavamo la telefonata dei nostri "soldatini" e quando il telefono squillava ...
    Alla prossima

    RispondiElimina