sabato 17 settembre 2011

Quattro passi... con Ben - Cinquantesima puntata

Giovanni, il Borzo, fu il mio compagno di banco per tutto il triennio.
Abbiamo diviso molti pomeriggi di studio, feste ed ultimi dell’anno, come quello nella casa argentata, così chiamata perché le pareti interne erano state coperte in tutta la loro superficie con carta d’alluminio, come quella che si usa in cucina. A quella festa parteciparono anche alcuni compagni di classe, ma mancava un vero e proprio obiettivo da raggiungere; per dirla in breve, non c’erano ragazze particolarmente interessanti da puntare. Così passai la maggior parte della serata con le amiche di sempre, mentre il Borzo ce la metteva tutta nel cercare di conquistare il cuore delle ragazze che non conosceva e, nonostante non fosse un vero e proprio playboy, riusciva quasi sempre a far breccia. La sua simpatia, poi, faceva tutto il resto.
La sua ospitalità mi ha facilitato molto nel periodo scolastico, quando dovevo restare a Firenze. Di volta in volta ringraziavo lui e la sua famiglia per quello che facevano per me, Giovanni era sempre il primo ad invitarmi. I miei ringraziamenti erano profondi e sinceri, ma non so se sono riuscito a trasmettergli questa mia gratitudine.
Avevamo già finito la scuola ed io stavo lavorando, in attesa di essere chiamato per il servizio di leva.
Suo padre era stato male, sapevo che era stato in ospedale.
Una notte me lo sognai e la sera successiva decisi di telefonare a Giovanni per avere notizie.
“Ciao Giovanni, sono Roberto. Come sta il tuo babbo?”
“Eh, adesso sta bene” e dopo una breve pausa: “È morto oggi.”
Rimasi colpito da quella notizia. Come morto? Ma non era già ritornato a casa? Come era potuto accadere?
Parlammo ancora per poco, poi mi informai del funerale.
Papà Borzillo, come lo chiamavo io, era morto, improvvisamente e prematuramente, lasciando un vuoto incolmabile in quella famiglia a cui volevo tanto bene. Riappesi la cornetta del telefono ed andai in cucina dai miei genitori.
“Papà Borzillo è morto.”
Non riuscii a dire altro, e me ne andai in camera mia a piangere.

Cristina, la vecchia Tina.
La nostra amicizia si è protratta anche negli anni successivi alla fine della scuola.
Lei c’era nelle gite, nelle scampagnate, c’era nel pomeriggio in cui conobbi Cinzia, c’era al mio matrimonio ed io al suo, ha visto mia figlia di pochi giorni ed io ho visto suo figlio di pochi giorni.
Potrei raccontare tanti episodi che ci riguardano, cene, feste, ritrovi a casa sua di sabato sera, con interminabili battaglie a Risiko o a Monopoli, fino ad arrivare ai tempi di oggi, passando per i periodi in cui fra noi c’è stato solo silenzio.
Invece voglio ricordare un episodio che risale al lungo periodo in cui lei fu costretta a rimanere a letto, con la schiena bloccata, a causa di un brutto colpo che aveva subito.
Con Cinzia la andammo a trovare un sabato sera.
Era in camera sua e accanto a lei c’era un ragazzo, Marco, che non conoscevo e che anni dopo sarebbe diventato suo marito.
La sensazione di vedere Cristina distesa nel letto in quel modo non fu delle più piacevoli, e mi fece pensare a come può bastare poco, veramente poco, per passare da una condizione ad un’altra.
I mesi passarono e si riprese, così potemmo ricominciare ad uscire; questa volta però, a differenza del passato, entrambi in dolce compagnia.
Il fidanzamento con Cinzia era stato il punto di rottura di alcune amicizie femminili. Era stato così con Maria Rosa, in un certo senso con Stefania, con la quale rimanemmo in contatto ma con frequenza sempre minore, ed anche con Tecla. Con la vecchia Tina, invece, continuammo a sentirci, a vederci, fino al momento in cui entrambi diventammo genitori.
Come ho detto, ci sono stati anche periodi di lungo silenzio fra noi, ma quando ci siamo risentiti è stato come se quel silenzio non fosse mai esistito.
Io ho avuto sempre, dentro di me, un angolino per lei, e quel silenzio era molto pesante.
Un giorno, parlando di lei, un amico mi disse: “Perdere un’amicizia vera è difficile quanto farne una nuova.”
Ho fatto tesoro di quelle parole.

4 commenti:

  1. Mia madre conserva gelosamente il tuo libro e in quella pagina ha lasciato un segnalibro.

    Quel segnalibro è l' indice di quanto tenga a te e delle belle parole che hai scritto.

    Grazie da tutti e 2

    Josil

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  2. Ciao Josil,
    abbraccia tua madre da parte mia.
    Un bacio alle tue donne e a te... a te niente (che di foto compromettenti ne girano "assai" sul blog!)

    :-))

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  3. Alla fine di questa puntata, caro Ben, parli del bel rapporto conservato con Tina ed eccoci di nuovo a parlare dei silenzi.
    Forse esistono silenzi "pesanti" e silenzi "leggeri": i primi allontanano le persone l'una dall'altra, facendole ritrovare estranee quando si incontrano di nuovo; i secondi si annullano nel momento stesso in cui ci si rivede ed è come se non fossero mai esistiti. Non credi?

    Molto bella la frase del tuo amico:
    "Perdere un'amicizia vera è difficile quanto farne una nuova".
    Perché si possono perdere le amicizie vere? Erano vere amicizie se le perdiamo?
    Forse perdere un'amicizia vera, comunque, è molto più difficile che trovarne una nuova, secondo me.
    Significa perdere qualcosa che esiste(va): per questo genera sofferenza, come una sorta di "lutto".
    Un'amicizia nuova è un pensiero astratto, non corrisponde a una persona: può essere un desiderio, un bisogno, una speranza. Come tali sono potenzialmente positivi.
    Perdere un'amicizia (se ci credevamo) è comunque una sconfitta, qualcosa di negativo.
    Con questa riflessione così-così ti lascio la mia buona notte, caro Ben.

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  4. I silenzi possono risultare pesanti quando vorremmo che non ci fossero, e si annullano, anche dopo molto tempo, se siamo riusciti a seminare bene in precedenza.

    La frase del mio amico, allora, mi fece porre le domande che anche tu hai posto e ti sei posta. Mi fece riflettere e mi fece capire che non si poteva gettare al vento quello che era nato.

    Certo, a volte ci vuole anche caparbietà e faccia di bronzo nel voler tenere in piedi qualcosa in cui crediamo, al di là dei silenzi, al di là del tempo.
    Io, spesso, le ho avute, anche nel voler andare a ricercare chi stava diventando solo un ricordo,ma ne è valsa la pena.
    "Quattro passi", in questo senso, mi ha aiutato molto, ed è per questo che, quando mi è stato chiesto a quale dei miei libri fossi più legato, ho risposto "Quattro passi".
    Mi ha fatto incotrare di nuovo persone a cui volevo bene e,inoltre, ha dato il via, se vogliamo esagerare, ma non troppo, ad una nuova fase della mia vita.

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