Di Luca ho già parlato, interprete straordinario di scenette irripetibili.
Innamorato dei Pink Floyd e della musica un po’ strana, tifoso della Fiorentina, con le mani costantemente bagnate di sudore (“Facciamo alle acquate” dicevamo prima di stringerci la mano). Sembrava perennemente impacciato e questo non gli rendeva i meriti che aveva, ma possedeva un cervello sopraffino e alla fine fu 60/60 all’esame.
Se non faceva un compito, lui lo faceva sembrare un caso isolato, una cosa fuori dall’usualità, come accadde con la professoressa d’inglese, che un giorno chiese:
“Benassai, leggi il compito di casa.”
“Professoressa, sinceramente non l’ho fatto.”
“Bravo! Luca, leggilo tu.”
“Professoressa, stranamente non l’ho fatto.”
La professoressa non rispose.
Entrambi non avevamo fatto quel compito, ma il mio “sinceramente” e il suo “stranamente” fecero la differenza. Era un grande!
Come grande fu la pizza che mangiammo durante uno dei nostri viaggi.
Eravamo a Bracciano, sul lago, insieme a noi c’era anche mio fratello.
All’ora di cena decidemmo di andare in una pizzeria che si chiamava semplicemente “da Carlo”.
Entrammo e ci sedemmo ad un tavolo, che era per quattro persone, e ordinammo una pizza ciascuno, quindi tre pizze.
Dopo alcuni minuti arrivò il cameriere, portando una sola pizza per volta, da quanto erano grandi. Per farla breve, con tre pizze non entravamo nel tavolo da quattro e ciò ci procurò alcune difficoltà per mangiarle. Luca rimase talmente impressionato da quelle pizze, che per alcuni mesi continuò a nominarle finché un giorno gli dissi, un po’ incavolato:
“O Luca, ma la fai finita di parlare di ‘odeste pizze, che è tre mesi che tu ce le fai mangiare!”
Lui era fatto così: se rimaneva colpito da una cosa, te la faceva “pagare” per un po’ di tempo.
Un altro episodio che mi viene in mente si riferisce al viaggio in Inghilterra.
Entrammo in un bar, lungo un’autostrada, e lui cominciò a bere una sfilza di aranciate, che ritirava da un distributore automatico. Poi, come vuole il buon senso, avrebbe dovuto pagarle alla cassa.
Invece no:
“Luca, ma le hai pagate?” gli chiesi.
E lui candidamente:
“No, c’era scritto PUSH” (che fra parentesi significa pigia, premi, spingi). “E io PUSH.”
Insomma, non c’era scritto che doveva anche pagare.
Era buffo, potrei stare delle ore a raccontare delle sue piccole manie, come quella dei capelli.
Quando arrivava a scuola in motorino, si toglieva il casco e poi gli occorreva mezzora per risistemarli.
Oppure di tutte le volte che passava davanti ad una vetrina e si metteva di profilo, specchiandosi e lisciandosi i pettorali.
Una volta con il Giuba, durante un’escursione in montagna, raggiungemmo una specie di pozza d’acqua che rimaneva una ventina di metri più in basso rispetto al sentiero che stavamo percorrendo.
Gli facemmo credere che era il Lago Scaffaiolo, cioè la nostra vera meta che era ancora a circa trenta minuti di cammino. Lui abbandonò il sentiero, scese giù, e fece tante di quelle fotografie a quella pozza che finì quasi il rullino.
Era anche un po’ sfortunato.
Una volta, nei pressi del Melo, con il Giuba, stavamo tirando dei sassi per vedere chi li lanciava più lontano.
Luca si era allontanato per andare a fare un bisogno fisiologico. Uscì da dietro un albero e pochi istanti dopo si prese una sassata in testa. Si arrabbiò di nulla!
Spesso gli cadevano le cose di mano o rompeva quello che toccava; così coniammo la seguente frase: “Luca, tu c’hai il danno nell’anima!”
Non so se accadrà, ma non vedo l’ora di rincontralo.
Caro Ben, ciao!
RispondiEliminaDiciamo che Luca a scuola sapeva "vendersi" bene: "vendersi" nel senso migliore del termine, sia chiaro.
Vista, appunto, la differenza tra il tuo posato "sinceramente" e il suo scanzonato "stranamente"?
Entra in gioco Marzullines: l'ora è quella giusta, infatti ... :-)
Cosa significa "c'hai il danno nell'anima"? Non avevo mai sentito questa espressione.
Grazie e un salutone
Fu ideata per Luca. Hai presente quando uno prende in mano una cosa e gli cade? Oppure uno che deve portare un secchio d'acqua e lo rovescia? Beh, quello più o meno significa quell'espressione che Luca si trovò cucita addosso.
RispondiEliminaE quanto rise leggendo quei brani che lo riguardavano!
Con Luca ci siamo ritrovati, scoprendo di abitare a meno di 10 km di distanza, pensa un po' tu!
Lesse questo libro, se ben ricordo il suo racconto, in poche ore, a letto prima di dormire, svegliando più volte sua moglie, che dormiva, con rumorose risate.
"Aver le mani di ricotta"...insomma, caro Ben: noi (intendo in famiglia) usiamo dire così, in questi casi.
RispondiEliminaBeh, per Luca deve essere stata una piacevole sorpresa ritrovarsi in un libro, no?
Un caro saluto