Io, Luca, il Giuba e suo fratello Guido avevamo programmato di fare un viaggio in Corsica, dopo l’esame di maturità, con una specie di camper, cioè un vecchio pulmino Volkswagen che apparteneva ai genitori del Giuba.
Per dormire in quattro in quel mezzo che, per facilità e con molta generosità, da ora in avanti chiamerò sempre “camper”, avevamo bisogno di due posti in più oltre a quelli che potevano essere ricavati all’interno. La soluzione fu una tenda montata sopra il tetto che si chiudeva a libro: all’occasione si apriva e diventava una camera per due persone.
Studiammo la vacanza nei particolari, decidendo le tappe e le soste. Inoltre era bello ritrovarsi per preparare il camper per la grande partenza.
Il traghetto partiva da Livorno con destinazione Bastia.
Dovendo passare da Pistoia per raggiungere il porto, Luca, Guido e Giovanni mi vennero a prendere a casa.
Questa volta i soldi li presi, e mia madre sicuramente li avrà ricontati prima che partissi.
Dopo tutte le raccomandazioni del caso, il camper si mosse e lasciò l’aia del Nespolo.
Iniziò così una delle più belle vacanze di sempre.
Eravamo giovani, pieni di voglia di scoprire il mondo che fino a quel momento non avevamo visto, pieni di entusiasmo e vitalità. Io, inoltre, attendevo quel momento da molto tempo, perché le mie vacanze non erano mai state un granché.
Arrivammo al porto di Livorno con leggero anticipo rispetto alla partenza e ci mettemmo in fila per salire sul traghetto. Alcune ore dopo eravamo già a Bastia.
Da lì, girando l’Isola in senso orario, toccammo tanti posti belli, panorami mozzafiato, spiagge bianche, mari incontaminati, deserti di sabbia e di rocce, montagne con laghi freddissimi, città con resti antichi, per ritornare nel giorno stabilito al porto per tornare a casa.
Andammo molto d’accordo, anche se Guido era il furbo di turno. Quando c’era da fare spariva spesso e, subito dopo, anche Luca cominciò ad imboscarsi.
Io dormivo con il Giuba nella tendina sul tetto, mentre Luca e Guido stavano all’interno. Eravamo veramente organizzati, con i nostri fornellini e tutta l’altra attrezzatura.
Una delle cose che più mi dettero fastidio era rappresentata dal loro dormire: io ero mattiniero, forse per l’abitudine di alzarmi presto che avevo preso andando a scuola a Firenze, quando ero obbligato a levatacce per prendere il treno. Loro, invece, non si alzavano mai prima delle dieci, nemmeno il caldo dava loro fastidio. Per cui ero sempre costretto ad aspettarli, per poi fare le tappe di trasferimento sotto il sole cocente.
Le due settimane finirono presto, passarono troppo in fretta.
Il mio primo viaggio all’estero da solo, senza familiari al seguito (l’anno precedente con Don Ferrero c’era anche mio fratello) era finito. Ed io ero orgoglioso di me stesso, perché avevo capito che sapevo cavarmela bene anche da solo, lontano da casa. E questa per me fu la cosa più importante.
Di lì a poco infatti nessuno mi avrebbe più “scortato”. La scuola era finita ed era l’ora di crescere, perché mi accingevo a uscire dal quel mondo ovattato per entrare nel mondo degli adulti, nel mondo del lavoro.
Ma prima mi attendeva il servizio militare.
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