L’impatto fu abbastanza difficile, le materie erano molto pesanti, rese tali anche da alcuni insegnanti.
Ad Informatica, la materia trainante insieme a Matematica, avevamo un professore alquanto indecifrabile: all’inizio mi sembrò un buon insegnante, salvo poi dimostrarsi uno dei più viscidi.
Non iniziai bene in quella materia, sbagliando il primo compito.
Fu difficile convincere il professore che quel compito sbagliato era stata l’eccezione, e non la regola.
Si mise in testa che non ero da sufficienza e, anche se le successive prove scritte dimostrarono il contrario, lui rimase convinto che le mie buone prestazioni fossero frutto di copiature.
Impiegai tutto l’anno per convincerlo del contrario, a suon di voti.
L’altro osso duro era il professore di Matematica, il Piax.
Con pochi capelli, albino, con gli occhiali, secco allampanato, era il terrore di quasi tutti gli alunni che lo avevano come insegnante.
Con lui era impossibile avere qualsiasi tipo di rapporto. Non parlava e non faceva parlare. Sembrava il classico tipo frustrato che sfogava la sua inutilità sugli altri.
Non sapeva spiegare, ma si limitava a leggere i suoi appunti e a dettarli. Se qualcuno si faceva avanti per chiedere di ripetere perché non aveva capito, lui rileggeva pari pari quello che aveva detto in precedenza, senza aggiungere o approfondire altro.
Con lui anche le cose più facili diventavano difficili.
Io, che ero abituato da sempre a prendere voti buoni, se non ottimi, cominciai a conoscere l’amarezza delle insufficienze, toccando il fondo proprio a Matematica. Non potevo essere diventato un brocco tutto di un colpo, però i voti parlavano chiaro ed io non riuscivo a capacitarmi. E così, poco alla volta, persi la fiducia in me stesso ed il mio carattere si spense un po’; anche la mia personalità cominciò a subire colpi, persi la mia sicurezza, e mi sentii sempre più piccolo e impaurito.
Non brillavo più come gli anni precedenti, anche se di lacune gravi non ne avevo, salvo quelle già dette.
L’inserimento in quella scuola fu più difficile di quanto avessi potuto immaginare e già ne avevo immaginate abbastanza prima di incominciare.
La mia vita era cambiata radicalmente in poco tempo e la mia solitudine, se possibile, era aumentata.
Ero diventato tutto casa e scuola, con la sveglia che suonava molto presto al mattino e poi tutto il giorno a studiare, fino all’ora di andare a letto. Questo mi impediva di frequentare quei pochi amici che mi erano rimasti. Vedevo saltuariamente Maria Rosa e, il sabato, ma non tutti, il Saimon, con il quale uscivo per andare a passeggiare in centro. La domenica poi mi rinchiudevo ancora a studiare, almeno nove volte su dieci.
Il ricordo della bella annata trascorsa in seconda, mi tormentava, e molte volte ebbi la tentazione di mollare e tornare indietro, da dove ero venuto.
Il primo quadrimestre terminò con alcune insufficienze.
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