sabato 26 febbraio 2011

La stufa

È uno di quei momenti in cui sai bene che le parole non serviranno. Varchi la soglia della porta ed entri in casa. C’è gente. Lei, affranta dal dolore, se ne sta in piedi, offrendo le spalle alla stufa, con la mani aperte, con il palmo rivolto verso le fiamme, forse in cerca di quel calore che sa di aver perduto.
La saluti e l’abbracci, stringendola forte, per farle sentire tutta la tua vicinanza, il tuo affetto, tutto quello che puoi darle. Ma sai che non ci saranno braccia in cui lei potrà abbandonarsi.
In pochi parlano e, se lo fanno, lo fanno sottovoce, quasi a non voler disturbare. A volte è più forte il rumore dell’accartoccio dei fazzoletti che, a turno, vengono gettati nella stufa. Mani rapide aprono l’oblò, gettano quella cartuccia e richiudono, facendo attenzione a non bruciarsi. La fiammella, là dentro, si agita fra le pareti bianche e riprende forza per qualche attimo prima di tornare ai movimenti abituali.
Quella stufa ammalia tutti e, in quel silenzio surreale, attira tutti a sé. A turno, in molti si alzano portandosi davanti e stendendo le braccia per scaldarsi il palmo delle mani, prima di riprendere posto e lasciare che altri ripetano quel rito.
Altre persone arrivano e salutano, e ogni volta, ad ogni parola di incoraggiamento, ad ogni abbraccio ricevuto, in lei si rinnova il dolore e nuove lacrime escono dai suoi occhi stremati.
La fiamma, in quella stufa, adesso è stanca, ma subito ci sono mani pronte ad alimentarla con un pezzo di legno che, dopo aver stentato un istante, si lancia in nuove danze, infondendo nuovo calore in quella stanza.
Inesorabile, arriva il momento che nessuno avrebbe voluto. Tutti escono di casa, chi in silenzio, chi piangendo, cercando conforto nello sguardo altrui.
Davanti c’è lui.
Prima di andare qualcuno rientra in casa, dà un’occhiata alla stufa, apre l’oblò e vi getta un altro legno. Sì, perché lei, quando rientrerà, dovrà trovare la casa calda.
Poi esce e chiude la porta dietro di sé.
Quel calore non deve andare perduto.

2 commenti:

  1. Caro Ben, buongiorno.
    Il calore di una stufa. Il calore umano.
    Tutti cerchiamo sia l'uno che l'altro. Il primo lo troviamo facilmente. Il secondo no: è sempre più difficile trovarlo.
    Riflessione scontata e rivolta al sé, d'accordo.
    Ma vogliamo girarla? Beh, diventa ancor più amara, forse: quando gli altri fingono, vogliono farti credere, di non aver bisogno del calore umano, del calore che saresti disposto/a a offrire.
    Dicevo io, che era una riflessione amara.
    Buona giornata, Ben. :-)

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  2. Ciao Ines,
    questa tua riflessione, così... così...
    Io credo che il calore umano sia un dono prezioso per chi lo riceve e una buona qualità per chi riesce ad infonderlo, anche se istintiva, nel senso che chi ce l'ha non si rende conto di possederla.
    Fingere: la finzione raggira tutto e rende vana ogni riflessione.
    Forse si può rifiutare il calore che ci viene offerto, per motivi quale, ad esempio, un fortissimo orgoglio, ma credo che tale offerta non cada nel vuoto. Forse arriva solo in un momento sbagliato, cioè in un momento in cui chi la riceve è in uno stato di tale confusione da non riuscire a rendersi conto di ciò che sta facendo. E forse, sempre forse, quando viene riacquisita un po' di lucidità, arriva anche la consapevolezza del gesto.

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