Eravamo rimasti diciannove.
La quarta per me fu un anno abbastanza tranquillo dal punto di vista scolastico.
Dico abbastanza, perché c’era la solita Matematica a far soffrire.
Io avevo trovato il mio equilibrio e riuscivo a prendere buoni voti in tutte le materie escluso “quella”.
Tuttavia riuscii a conquistare la definitiva fiducia del Piax riuscendo a fare bene un compito che tutti sbagliarono tranne io e Paolo. Solo noi due riuscimmo a prendere la sufficienza, e poiché il professore aveva ritenuto quel compito il più difficile fra tutti quelli fatti durante l’anno, essere stati gli unici a farlo correttamente ci fece conquistare molti punti in classifica, perché quello non poteva essere frutto del caso o della fortuna.
Insomma, tutto si era incanalato per il verso giusto. Non ero il primo della classe, ma, per dirla in termine calcistico, ero in zona Uefa, cioè nelle prime sei - sette posizioni.
Di quell’anno scolastico non ho ricordi particolari, salvo alcuni episodi.
Conobbi meglio Tecla, che l’anno precedente mi rimaneva alquanto antipatica; eravamo diventati quasi compagni di banco; infatti fra noi due sedeva il Borzo, ma questo non ci impediva di chiacchierare e scambiare il posto in modo da metterci accanto.
Lei era una ragazza molto intelligente, carina, aveva tutte le carte in regola per essere desiderata, ed invece si angustiava perché non riusciva ad avere il ragazzo. E quell’ansia era diventata per lei quasi un’ossessione.
Cominciò a confidarmi qualcosa delle sue ansie e così, lentamente, divenni per lei quasi un confessore.
Questa sua fiducia incondizionata nelle mie doti di “ascoltatore” andò avanti per alcuni anni, addirittura oltre gli anni della scuola.
Io cercavo di farle capire che doveva avere pazienza senza buttarsi in relazioni senza senso, che prima o poi avrebbe trovato la persona giusta, perché aveva tutte le qualità per essere amata. Le dicevo inoltre di stare attenta a non diventare la preda di ragazzi senza scrupoli. Alcune volte mi faceva tenerezza per la sua affannosa ricerca dell’amore.
Con gli altri ragazzi consolidai le amicizie in corso, soprattutto con Luca, il Giuba, Elena, Stefania, Cristina e Cecilia. Mi trovavo a mio agio con loro perché erano persone acqua e sapone.
Elena era frenetica, nelle mosse e nel parlare, era sempre sorridente. Era piccola di statura, ma aveva una grande vitalità ed una allegria unica. Spesso andai a studiare da lei, insieme ad altri, e mi accorsi che anche i suoi familiari erano come lei. Insieme sembravano un’allegra brigata. Uno dei suoi genitori, non ricordo bene se la madre o il padre, aveva origini pistoiesi, e questo mi rese più simpatico ai loro occhi, cosicché mi sentivo un po’ a casa, quando andavo da lei.
Stefania era diversa, più seria, meno allegra. La sua famiglia aveva origini umili. Sembrava, soprattutto andando a casa sua, che spesso dovessero stringere i denti per tirare avanti.
Stefania ed Elena entrarono a far parte di un gruppo cattolico con il quale sarei uscito anch’io alcune volte durante gli anni successivi.
Cecilia, poi, che dire di lei. Era la ragazza della classe con la quale parlavo di più. Spesso capiva i miei stati d’animo guardandomi, come quella volta che…