sabato 27 giugno 2009

Tempo di esami, e allora...


Da "Quattro passi", liberamente tratto e riadattato.

Gli esami finali si stavano avvicinando a grandi passi.
Avevo cominciato il periodo del ripasso, spesso da solo, ma alcune volte in compagnia di alcuni compagni. Con Giovanni, il Giuba, l'Elena eravamo affiatati nello studio e quelle ore che passavamo insieme ci facevano sentire meno l’ansia per l’esame. Sì, perché qualsiasi cosa se ne voglia dire, un esame è sempre importante, e per quanto si voglia tenere lontano il pensiero, l’attesa è sempre forte, soprattutto quando ci si gioca il futuro.
Studiammo per fare del nostro meglio ed il grande giorno arrivò.
La prima prova scritta fu quella d'Italiano. Il giorno seguente Informatica: era la prima volta in assoluto che usciva. Per l'orale era buona regola scegliere due materie su quattro, sperando che non venissero cambiate il giorno dell'interrogazione. Optai per Italiano e Scienza delle finanze.
Per la prima ed unica volta in vita mia, sbagliai il tema d’Italiano.
Il membro della commissione, durante la prova orale commentò così:
“La sua prova scritta sarebbe stata da 10, solamente se il tema avesse avuto un altro titolo; non abbiamo messo penna per una correzione, ma è andato fuori tema!”
Io già lo sapevo: il titolo si rifaceva agli scopi pacifici dell’energia nucleare, ed io mi ero soffermato troppo su quelli di quei tempi: la guerra fredda. Cercai di spiegare il motivo di come fossi incappato in quell’errore. Molto tempo dopo, l’anno successivo quando andai a far visita agli insegnanti trovandomi a Firenze, seppi dalla mia professoressa di lettere che quella spiegazione era stata considerata come una polemica, una mancata accettazione della loro valutazione: roba da matti! Evidentemente non ero stato l’unico ad andare “fuori tema”! Anche per quello, mi disse ancora, fui “punito” oltre misura.
Le altre prove andarono bene. Non avevo da temere una bocciatura nonostante il brutto voto rimediato nel tema, ma sapevo che sarebbe stato difficile ottenere una buona valutazione finale.
Ero deluso ed il giorno dei risultati ero anche molto teso. Avevo studiato per anni con ottimi risultati ed ora che il voto contava veramente rischiavo di uscire dal mondo scolastico con un risultato bugiardo. La rabbia era enorme.
Arrivato a scuola mi venne incontro il Giuba: “Siamo passati tutti e diciannove. Siamo risultati la miglior classe di tutta la scuola. Vedessi che voti!”
Arrivai davanti al tabellone e scorrendo dall’alto cominciai a leggere i nomi cercando il mio. C’erano un sacco di 60/60, mi sembra sei, poi un sacco di 56/60 fino a 50/60. Infine, l’ultimo dei diciannove alunni: Benassai Roberto 48/60.
Ero arrivato ultimo, e nonostante tutto, con 48/60. Voti esageratamente gonfiati, compreso il mio. Gente che a fatica era stata ammessa all’esame aveva preso 54, addirittura 56/60. Ma come aveva fatto? Ed i risultati degli anni precedenti in che misura erano stati presi in considerazione?
Ero arrabbiatissimo, mi sentivo defraudato, ma soprattutto non sopportavo il fatto che tutti mi fossero passati avanti. Fu una bella botta per il mio orgoglio. Abituato ad essere fra i primi, se non il primo, mi ritrovai ultimo.
Tutti rimasero a festeggiare, io ripresi la vecchia Horizon del babbo e me ne tornai a Pistoia.
Arrivato a casa raccontai tutto quanto ai miei genitori e non ricordo chi di loro disse quelle poche parole che mi fecero prendere coscienza di una ulteriore realtà.
“Non te la prendere, 48/60 è un buon voto, non eri in gara con i tuoi compagni di classe. Dimostrerai il tuo valore quando andrai a lavorare. Il lavoro sarà il vero esame e lì, chi ha veramente imparato, lo dimostrerà.”
I giorni che seguirono non furono facili, la delusione difficilmente digeribile.

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