venerdì 27 agosto 2021

T come Teatro

Quella del teatro è stata un’esperienza che ha dell’incredibile.

Non posso dire di essere un amante del teatro. Ho visto poche rappresentazioni e, fra queste, ancora meno recitate da professionisti. Potrei affermare con certezza di essere al di fuori di quel mondo.

Eppure quando fui chiamato per occuparmi di questa attività, si parla comunque di ambito parrocchiale, niente di più, mi ci buttai a capofitto.

Era una bella sfida, perché mi sentivo come una persona che non ha mai giocato a calcio chiamata ad allenare una squadra di calcio, per di più chiamata a sostituire un allenatore che aveva vinto, con la sua squadra, tutto quello che c’era da vincere.

Non ricordo nemmeno più il motivo per cui fui interpellato, ma accettai di buon grado, consapevole del fatto che ci sarebbero stati inevitabili confronti col passato, ma anche che ogni partita fa storia a sé.

Fu bello coinvolgere in quel progetto altre persone e, con quelle persone, vedere crescere una vera squadra, di prova in prova, tanto che alla fine, a prescindere dall’esito dello spettacolo, dispiaceva a tutti che quella prima avventura fosse finita.

Quella prima esperienza fu una vera e propria cavalcata. Scrivendo, insieme ad altri, quello spettacolo, cercammo di portare quello che ognuno di noi aveva dentro. Così rappresentammo prosa, poesia, canto e balli con una particolarità: non c’erano primi attori e comparse, ma tutti erano protagonisti.

Provai ogni sorta di emozione e, forse per la prima volta, mi accorsi di quanto fosse bello cercare di mettere gli altri nella condizione di esprimersi al meglio, piuttosto che cercare di essere al centro di una scena. Un lavoro proprio dietro le quinte, con la scrittura, l’adattamento, l’organizzazione, la ricerca di persone di buona volontà per mettere in piedi e costruire, anche materialmente, tutto quello che c’era da fare.

Non mancarono certo le arrabbiature, perché, non essendo una compagnia teatrale, alle

prove mancava sempre qualcuno e, con l’andare del tempo, c’era il timore di non arrivare alla sera dello spettacolo sufficientemente preparati. Ma ho sempre confidato in quelle persone e ad alcune di loro non avrei mai rinunciato.

La prima arrabbiatura, però, me la procurarono i sempre ben informati che, prima ancora che la sceneggiatura fosse finita, sapevano già di cosa si sarebbe parlato.

Chiaramente fu tutt’altra cosa rispetto a quello che avevano ipotizzato, ma lo seppero solo dopo lo spettacolo, perché dall’alto della loro piccolezza, non vennero a vederlo.

Rispetto al passato riuscimmo a portare una ventata di novità.

Per alcuni anni ho portato avanti altre rappresentazioni, alcune con adulti, altre con i ragazzi, alcune con adulti e con ragazzi, curando regia e sceneggiatura, provando sempre grandi e intense emozioni.

Due crucci mi sono rimasti: il primo, la beffa, come la definii all’epoca, quando dovevo scendere in scena con i ragazzi, ma un intervento chirurgico, proprio il giorno prima dello spettacolo, mi impedì di partecipare. Forse dall’alto qualcuno voleva dirmi che non era quello il mio ruolo.

Il secondo: aver scritto un adattamento rimasto nel cassetto.

E forse, anche questo, voleva essere un altro messaggio da interpretare.

 

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