La morte di Raoul Casadei, incontrastato fuoriclasse del liscio, mi ha fatto ricordare un periodo preciso della mia infanzia. Mi ha fatto ricordare anche che, con la sua musica, ha fatto trascorrere infinite ore felici a milioni di persone, e fra quelle persone ci sarà stato sicuramente una persona a noi cara.
Ricordo quando mia madre cercava di insegnarmi i passi base del valzer e del tango, spostando le sedie e il tavolo di cucina per fare spazio. La musica che girava nel mangianastri, affinché io imparassi, era quella di Casadei.
Qualche anno fa, guardando la gente che ballava durante una festa di paese, pensai di scrivere un raccontino. Lo intitolai "I ragazzi della terza età", proprio come una delle ultime canzoni di quella serata, di un'altra celeberrima orchestra del liscio.
È caldo e non hai voglia di startene in casa ad aspettare l’ora di andare a dormire.
Una musica suona in lontananza
ed attira la tua attenzione; è una musica antica, che proviene dal passato,
quando quelle note allietavano le sere di festa di tante persone, quelle che
oggi hanno qualche anno in più, ma che allora avevano l’età che oggi hai tu.
Così decidi di seguire quella
melodia e vai verso i giardini dove si sta svolgendo la festa. Chissà, magari
incontri qualcuno che conosci per scambiare due parole.
Lì l’aria, smossa da una
flebile brezza, si mescola ai profumi che arrivano dalla cucina. La musica ti
abbraccia ed accompagna tutti i movimenti. I ragazzi che servono ai tavoli
sembrano danzare con i vassoi in mano, proprio come quelle coppie che, per
niente infastidite dal caldo estivo, ballano senza sosta sulla pista, salvo
poi, una volta che il brano è terminato, asciugarsi in tutta fretta con un
fazzoletto estratto da chissà dove.
Vai col valzer.
La pista, immersa nel verde
fra gli olivi, è recintata da una staccionata fatta di tante piccole canne.
Tu, dall’alto, appoggiando le
tue braccia ad una ringhiera che comincia a dimenticare il suo colore
originale, ti affacci e guardi.
E quel che vedi ti riporta indietro
nel tempo, quando eri tu a danzare fra i tavoli con un vassoio in mano, pronto
a prendere le ordinazioni di accaldati ballerini in cerca di ristoro.
Intanto una fetta di luna si è
portata alta, su nel cielo.
Vai col tango.
Quel ballo fu tua madre a
insegnartelo, in una fredda sera d’inverno, quando la stufa incandescente
sembrava non fosse buona a niente. Spostando il tavolo e le sedie della cucina
ti convinse a fare i primi passi, prima contando e poi mettendo un nastro
dentro ad un registratore di quelli che oggi si potrebbero vedere nei musei. Il
freddo, per incanto, se ne andò, grazie a quel piccolo trucchetto che hai
capito dopo un po’.
Tu adesso sposti la tua
attenzione verso quelli che stanno arrivando. Sono persone con i capelli
argentati e con le gambe un poco instabili, ma con la voglia ancora di
divertirsi, di stare bene e passare qualche ora in allegria. Lui sembra aver
intenzione di fare tardi, con quel golfetto ripiegato ed appoggiato su una
spalla. Lei, ben vestita ed attenta a non impolverare subito le scarpe della
festa, porta al braccio una borsetta di quelle da tirare fuori dall’armadio
solo per le grandi occasioni. Con passo ansioso si dirigono verso un tavolo,
quasi con il timore di rimanere senza. Si incrociano con un signore che ha lo
sguardo da predatore. Girovagando per la pista sembra cercare la dama giusta
per un ballo che ancora ha da venire. Ogni tanto si prende la cintura dei
pantaloni e, tirandola un po’ su, si dà una sistemata: vuole essere perfetto,
una volta che l’avrà trovata.
Vai col valzer lento.
Quello è il ballo che ti
riusciva meglio. Da ragazzo, quando i tuoi genitori ti portavano con loro, tua
madre ti invitava in pista, ma tu non volevi farti vedere ballare con lei,
avevi quasi paura che i tuoi coetanei ti vedessero e ti potessero prendere in
giro. Figuriamoci, un ragazzo in mezzo a tutti quegli anziani! Ma poi bastavano
due paroline sussurrate ad un orecchio e iniziavi il movimento. Con piacere
osservavi il sorriso soddisfatto di tua madre che si lasciava guidare dal un
cavaliere per lei particolare.
Ahi, ahi, ahi, cuore
ballerino.
La luna sta ormai scomparendo
dietro alle chiome degli alberi e anche le persone se ne stanno andando.
Qualcuna riprende la strada di casa, contenta per la serata, salutando e
cominciando a pensare a quel che dovrà fare domani. C’è chi chiama il nipotino,
per averlo più vicino.
Anche quella coppia sta
uscendo. Si tengono mano nella mano. Lui ha indossato quel golfetto.
Ad un tratto l’orchestrina
annuncia una canzone e lei, come rinvigorita, si libera da quella dolce stretta
e torna indietro, fermandosi due metri più in là. L’ascolta sorridendo e poi,
contenta, torna indietro dal suo uomo canticchiando le parole di quel
motivetto:
Lui e lei nel giardino insieme
stanno
guardano le ombre della sera.
Lui e lei nel giardino con un
mare di ricordi
pensano e si tengono per mano.
Sempre uniti nell’amore
nella gioia e nel dolore.
I ragazzi della terza età.
Bello il tuo racconto.
RispondiEliminaE bella la scena di tua madre che sposta le sedie per insegnarti a ballare il walzer.
Mi ha molto intenerita.
La musica è sicuramente molto rievocativa.
Ho perso mio padre a 24 anni.
Ne sono passati ormai dieci, ma ancora quando parte in radio una delle sue canzoni preferite, una lacrima di nostalgia e amore mi riga il viso.
P.S. Non chiudere il blog, dai. Come ti dicevo, sarebbe un peccato.
Buona serata.
Ciao Claudia.
RispondiEliminaGrazie a te, anche per il passaggio.
Sai, ero seduto davanti allo schermo a pensare cosa fare.
La tua visita mi ha fatto molto piacere.
La musica per me è qualcosa di speciale. Canto e sto cercando di darmi da fare con la batteria.
La scrittura, però, mi ha rubato il cuore.
Penserò al consiglio che mi hai dato.
Tornerò a trovarti.
Ciao.
Grazie.
RispondiEliminaSarà un piacere ritrovarti.
Il mio blog, al contrario del tuo, è very fast. Ma i buoni sentimenti trovano e troveranno sempre spazio tra le sue pagine.
Un abbraccio.
P.S. Ho un debole per i musicisti.
Ma, in assoluto, preferisco il pianoforte.
Ah, il pianoforte! In un'altra vita, forse.
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