L’intervento chirurgico
era programmato già da tempo. Giugno, mi avevano detto. Così mi ero adoperato
per far ricadere in maggio i vari impegni da affrontare.
Maggio è un mese
importante per le varie attività che seguo, perché quel periodo ne segna la fine
e, come spesso accade, è il momento dei saluti, degli abbracci, delle feste,
insomma è il momento delle “ultime puntate” che concludono un percorso portato
avanti per tutta la stagione.
Una di queste, quella a
cui tenevo di più, era lo spettacolo di fine anno preparato e curato con i
ragazzi del dopocresima. Il mio gruppo aveva il compito di curare la parte
teatrale, gli altri gruppi avevano il compito di curare altri lavori da
inserire al momento opportuno, come se fossero degli spot, fra un atto ed un
altro. Un progetto nato un anno fa, preparato e provato non senza difficoltà,
che avrebbe visto la sua realizzazione il 21 maggio, data scelta appositamente per
evitare giugno.
Ma la beffa era in
agguato.
Una mattina mi è
arrivata una telefonata con la quale vengo informato che la data
dell’intervento è esattamente una settimana dopo, il 20 di maggio! Mi assalgono
cento pensieri, ma quello più ingombrante è lo spettacolo da fare coi ragazzi. Ne
ho anche altri ma, per quanto fossero importanti, non riesco a staccarmi da
quello.
Allora chiedo mezzora
di tempo per riflettere, voglio farlo con calma e non a caldo, parlando anche
con mia moglie. Mi viene concessa ma vengo allo stesso tempo informato che,
rifiutando, devo rimettermi in coda, ricominciando da zero e soprattutto senza
la certezza del periodo in cui andrei ad operarmi.
Parlo con mia moglie e
le idee mi si chiariscono subito, così richiamo l’ospedale e confermo la data.
Poi avverto ed informo
della nuova situazione chi doveva cominciare a fare pubblicità allo spettacolo.
Credo sia il caso di fermarsi e parlarne a voce. Cosa che avviene più tardi.
La proposta dei
sacerdoti è quella di rimandare lo spettacolo a giugno, in occasione della
festa parrocchiale. Ho detto sì, ma senza convinzione, chiedendo altri due
giorni di tempo prima di far avvertire tutti quanti dello slittamento.
Questi due giorni mi
servivano perché dovevo parlare dell’intervento col chirurgo, con il quale
avevo già un appuntamento, e per chiedere se i ragazzi fossero stati
disponibili per la data di giugno.
Ma durante la
settimana, nella mia mente si è fatta strada l’idea di una sola soluzione: lo
spettacolo deve andare avanti. Così ho studiato le varie soluzioni per dei
rapidi cambi di ruolo. Chi è chiamato a sostituire si dimostra subito
disponibile, anche se il tempo per prepararsi è poco. Mi sento alleggerito
dentro. Adesso devo parlare con il sacerdote e con i ragazzi. Lo farò pochi
giorni dopo, il sabato.
Ed il sabato arriva.
Ad inizio pomeriggio
vado a parlare con il sacerdote.
“La mia idea è quella
di fare lo spettacolo senza di me. Marco mi sostituirà in scena, Sara si
occuperà del suggeritore e tu farai i sottofondi musicali al posto di Marco.
Per il resto non cambia niente ed ognuno manterrà i ruoli assegnati. Io non me
la sento di buttare all’aria il lavoro di tante persone, non c’è solo il mio
gruppo ad aver lavorato a questo progetto. E poi quest’anno abbiamo lavorato
sul gruppo, gruppo che deve andare avanti nonostante le avversità. Inoltre se a
giugno dovessero esserci altre indisponibilità che cosa facciamo, sospendiamo
di nuovo? Oppure andiamo in scena? E in questo caso, se fosse un ragazzo a
mancare, che messaggio lasciamo passare? Che uno è indispensabile e l’altro no?
No, andiamo avanti. Più
tardi, durante l’incontro, parlerò con i ragazzi e sentirò anche loro. Poi ti
faccio sapere.”
“Va bene, dopo passo
nella tua aula” è stata la risposta.
Avevo già informato i
ragazzi dell’importanza di quell’incontro e si presentarono tutti tranne due,
assenti per motivi di forza maggiore.
Non mi è stato facile
parlare, anzi ad un certo punto sono stato costretto ad uscire perché un nodo alla
gola mi ha impedito di parlare. Mia figlia mi ha seguito per confortarmi.
Poi ho ripreso, ho
spiegato e ho fatto capire i motivi per cui desideravo andare avanti. Le parole
che ci siamo detti rimarranno dentro quelle quattro mura, come avviene quando
gli allenatori parlano ai giocatori dentro lo spogliatoio.
I ragazzi si sono
guardati fra loro, poi hanno comunicato la loro decisione “Avanti!”.
Era quella che
desideravo dentro il mio cuore. La commozione mi ha assalito di nuovo, ma un
caldo abbraccio con tutti i ragazzi l’ha fatta svanire.
Abbiamo provato,
abbiamo aiutato Marco nel suo nuovo ruolo e abbiamo concluso l’incontro con
notevole ritardo.
Quando il sacerdote ci
ha raggiunto in aula gli ho detto: “I ragazzi hanno deciso di andare avanti.”
“Bene” la sua semplice
risposta.
E così lo spettacolo è
stato fatto il 21 maggio.
Io stavo nel mio letto
di ospedale quando è arrivata una telefonata, quella dei ragazzi: mi hanno
fatto ascoltare il grido di battaglia che tanti attori fanno prima dell’inizio
degli spettacoli ed io gli ho fatto gli auguri con una voce molto emozionata.
Chissà se mi hanno sentito.
Successivamente ho
cominciato ad accendere il telefono a più riprese, per vedere se arrivavano
notizie.
Cinzia ogni tanto mi
mandava delle foto e brevi filmati.
Alla fine ho ricevuto
un messaggio: “Sono stati bravi!”.
Ne ero certo.
La mattina successiva,
quando le infermiere mi hanno fatto alzare dal letto, mi sono seduto, ho
chiamato il mio compagno di stanza che si è seduto accanto a me, ho preso il
cellulare e, con una punta d’orgoglio, gli ho fatto vedere tutte le foto
ricevute durante la notte.
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