Pepe lavorava
in cucina, non riusciva ad ambientarsi, così telefonava spesso a sua madre, e
altrettanto spesso piangeva. Era piccoletto e tutti gli incutevano timore, ma
nessuno voleva fargli del male o infastidirlo. Gli cucimmo addosso uno
scherzetto.
Prestando
la sua opera al fortino, non saliva mai dalle parti del comando, e quindi
leggeva le notizie solamente dai messaggi appesi in bacheca, nei corridoi delle
camerate. Lì venivano appese tutte le comunicazioni.
Così
per alcuni giorni, incontrandolo…
“Porca
miseria, chissà dove ci manderanno!” cominciai.
“E
soprattutto chi ci manderanno!”
“Mah,
si dice quelli che fanno meno turni di
guardia, ad esempio gli autisti e i cucinieri.”
“Anche
gli autisti? Allora tocca anche a me?” intervenni.
Pepe
abboccò e domandò:
“Di
che cosa parlate! Dove ci mandano?”
“Eh
caro Pepe, mi sa che io e te ce la dobbiamo fare, non si scansa!” gli risposi
scuotendo la testa in segno di rassegnazione.
“Ma
cosa? Parlate!”
“Vedi,
al comando si vocifera a proposito di una esercitazione, molto tosta. Ma non si
sa ancora niente. Federico sta con le orecchie tese, ma per ora non trapela
niente. Comunque fra pochi giorni sapremo di che cosa si tratta. E allora
saranno dolori per alcuni di noi!”
Lo
tenemmo sulla corda per un paio di giorni, poi arrivò l’ordine ufficiale appeso
in bacheca, con tanto di carta intestata e timbri originali.
Fu
letto dai soldati e subito iniziarono le urla di rabbia da parte di alcuni,
quelli cioè che erano stati scelti per quella particolare cosa.
“Lo
sapevo! Fra tutti quelli che ci sono, solo i toscani e i romani sono stati
scelti! Bastardi, branco di raccomandati!!”
L’ordine
impartito era perentorio: campo a Vipiteno, al confine con l’Austria per il
tempo di un mese e tutti i permessi e le licenze per i prescelti sarebbero stati
sospesi fino a nuovo ordine. Fra i nominati c’ero io, oltre a Federico, lo
Squalo, il Killer, Capotosti (di Roma) e naturalmente Pepe.
“Pepe,
è arrivato l’ordine che aspettavamo, porco boia; vai, vai a leggere anche tu!”
gli dissi incrociandolo nel corridoio.
“Cosa
dice?” rispose con tono ansioso.
“Dice
che ce l’hanno messo nel di dietro! Addio licenza!”
L’arrabbiatura
sembrava vera in tutti noi complici di questo scherzo.
Lasciammo
Pepe solo davanti alla bacheca, guardandolo da lontano per vedere la sua
reazione.
“Nooooooooo!”
Aveva
letto.
“E
mo’, che faccio, chi glielo dice a mi’ madre?” e mettendosi le mani fra i
capelli iniziò a piangere e a disperarsi.
Gli
andammo incontro per consolarlo.
“Dai
Pepe, non te la prendere, e poi ci siamo anche noi. È andata così, vedrai, un mese
passa in fretta. Anche se…” lasciai la frase in sospeso.
“Anche
se?” chiese impaziente.
Ed
io conclusi dicendo: “Federico ha sentito dire, al comando, che il periodo
potrebbe raddoppiare, speriamo almeno che ci rimpiazzino con qualcun altro.”
Se
possibile, sbiancò ancora di più.
“Due
mesi? Lassù fra i monti? Ma io esco pazzo! No, no, io non ce la faccio. E mo’
devo dirlo a mamma! Dio, Dio!”
Andò
a prendere i gettoni e si precipitò al telefono.
“Mamma,
so’ io! ‘Sti bastardi mi mandano a Vipiteno per un mese, per un campo...(iniziò
a piangere)... Come faccio a stare calmo? Forse i mesi sono due, io m’ammazzo,
nun gliela faccio, a mà! Sì, ci sono anche altri, ma sono abituati a fare le
guardie quasi tutte le notti, io invece sto in cucina, sto. Poi mi mettono in
punizione e non torno più a casa!! Ciao mamma … sì, sto calmo… ti faccio
sapere, va bene. Ciao.”
Terminò
la telefonata, ma i singhiozzi si fecero più frequenti e così decidemmo che era
giunto il momento di dire basta.
“Killer,
vai a togliere il foglio dalla bacheca e portamelo, per favore” dissi.
Me
lo portò e con quello andai da Pepe e davanti ai suoi occhi lo strappai.
“Pepe,
era uno scherzo!”
In
pochi secondi realizzò e riprese colore, e con gioia, riprese i gettoni e di
nuovo telefonò.
“Mamma,
non è vero niente, mi hanno fatto uno scherzo, m’hanno fatto, ‘sti bastardi!”
Appena
riagganciò lo abbracciai per rincuorarlo e gli dissi:
“O
Pepe, ma come sei bischero! Tu sei sempre a piangere, per qualsiasi cosa. Tu
sei grande ormai!”
“È
più forte di me, però avete esagerato.”
“Sì,
però tu ci sei cascato proprio bene!”
E
così, tenendo un braccio l’uno sulla spalla dell’altro, ci incamminammo verso
le camerate.