mercoledì 16 giugno 2010

Ma che cos'è?

In questi giorni mi sono chiesto: ma che cos’è?
Conosci persone da una vita: sei cresciuto insieme a loro, li conosci dall’infanzia o dall’adolescenza, sai tutto di loro e loro sanno tutto di te, hai visto nascere i loro figli e loro hanno visto nascere i tuoi, hai condiviso gioie, dolori, momenti belli, momenti brutti, hai pianto e hai riso con loro. Quando li incontri senti una bella sensazione all’altezza del petto ed un sorriso nasce spontaneo sul tuo volto.
Amicizie che vengono da lontano, protratte nel tempo, quelle che si potrebbero definire basate su solide fondamenta o inossidabili.
Poi capita che, per un interesse comune, cominci a conoscere persone delle quali non sai niente. Giorno dopo giorno impari il nome e poi il cognome. Con un po’ di timidezza cominci ad esplorare il loro mondo e lasci che loro esplorino il tuo. Cominci a sentire, con alcuni di loro, un feeling particolare, poco importa che abbiano diciotto anni o siano più grandi di te, e quando li vedi senti quella bella sensazione all’altezza del petto.
Cominci a pensare che quell’interesse in comune sia il punto di una nuova partenza: ma come la puoi chiamare? Che cos’è quello che senti?
Nella maggior parte delle volte sei con loro per un’attività che potrebbe non far sorridere, per la quale hai la coscienza della preparazione, ma anche l’insicurezza per un’esperienza che ancora non c’è, eppure quando li vedi... sorridi, e tutto il resto svanisce. È come se traessi energia da loro.
Poi, quando arriva il momento di separarsi, prendi l’agendina per guardare quando il tuo tempo ti permetterà di rivederli, e mentre lo fai continui a chiederti che cos’è quella bella sensazione, sperando che non sia soltanto tua.

4 commenti:

  1. Ciao, caro Ben.
    Si può chiamare "condivisione"? Oppure "comunione" di intenti e di obiettivi?
    Parli di attività che potrebbero non far sorridere. Eppure ci si sorride, proprio - credo - perché il sentirsi uniti da una esperienza comune avvicina le persone.
    Se permetti ti lascio con una mia riflessione.
    Nei momenti di gioia ognuno è diverso dall'altro: la gioia, per quanto ambita e cercata (giustamente, ci mancherebbe), non ci unisce.
    Nei momenti di dolore siamo uguali, poiché il dolore ci restituisce a noi stessi nell'essenza più reale e, in fondo, noi uomini siamo più simili l'uno all'altro di quanto immaginiamo.
    Nel restituirci a noi stessi per ciò che siamo realmente ci poniamo agli altri con maggior spirito di condivisione.
    Nella gioia non c'è reciprocità.
    Nel dolore sì, sempre. Quella bella sensazione che descrivi, infatti, non è soltanto tua. Appartiene anche all'altro.
    Scusami se sono partita per la tangente, come spesso mi accade.
    :-)
    Buona serata

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  2. Ciao Ines,
    le tue tangenti sono sempre interessanti ed arricchiscono questo blog.

    Nei momenti di dolore le persone si sentono più vicine, è vero. In questi casi è più facile che le parole, dette da una parte e ascoltate dall'altra, rimangano dentro più a lungo, rafforzando, se possibile, un feeling fra le persone.
    La gioia forse è più effimera, brucia più in fretta.

    Come sai, vago nel web, ed altri hanno detto di provare o aver provato questa bella sensazione, attribuendole un significato che varia da persona a persona.

    Ciao, e buona domenica!

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  3. Sai, Ben, stavo riflettendo (beh...si fa per dire, dai!) su quanto abbiamo detto.
    Sembrerebbe - e forse è così - che alle persone "servano" i momenti difficili, delicati (intesi come esperienze vissute personalmente oppure intensamente condivise) perché ritrovino la loro umanità, intesa come quel feeling di cui tu parli.
    Poi, in fondo, cos'è che ci fa crescere interiormente, che ci arricchisce e ci fa sentire soddisfatti, se non questa determinazione a confrontarci con realtà diverse, a superare insieme gli ostacoli, a rinnovare la speranza?
    Siamo dunque destinati a soffrire (in misura diversa a seconda delle esperienze) per diventare veramente "uomini"?
    Triste, eh? Ma forse è così.
    Ma quanta pace e quanta serenità ne derivano poi? In grande misura, ritengo.
    E, ti assicuro, il mio non è un parlare...così.
    Un caro saluto a tutti.

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  4. Credo che la sofferenza, in genere, renda più umani, perchè ci fa capire di più, perchè ci fa capire la nostra fragilità. Però penso anche che ogni momento vissuto intensamente, quando le emozioni, di qualsiasi natura esse siano, vengono accettate, vissute, e manifestate, possa arricchire interiormente.
    Poi, come diceva il mio amico Gibran,a proposito di dolore, ma anche gioia:

    Voi siete bilance che oscillano tra il dolore e la gioia.
    Soltanto quando siete vuoti, siete equilibrati e saldi.

    E qui, cara Ines, la tangente a questo giro l'ho presa io.
    Buonanotte.

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