Aurelio si alzò
molto presto, come ogni mattina.
Infilò le ciabatte
e andò a prendere la sua giacca da camera.
«Buongiorno, amore
mio» disse rivolgendosi alla foto che ritraeva sua moglie sorridente insieme a
lui.
Ripeteva quel rito
da quando lei se ne era andata, prematuramente, vent’anni prima. Da allora
quella foto stazionava sul comodino, accanto al letto.
«Dicono che dovrei
andare in pensione, ma cosa farei a casa da solo? Meglio continuare a lavorare
fino a quando Dio mi concederà la salute. Tu cosa ne pensi, amore? Mi piace
ancora stare in negozio, con tutti quei libri a farmi compagnia.»
Solo lui era capace
di sentire le risposte alle sue domande.
Dopo essersi
vestito e aver bevuto una tazza di caffellatte, uscì di casa, inviandole un
bacio con la mano.
Il primo freddo di dicembre era arrivato, e nella piccola Via dei Ciottoli nessuno fece caso alla luce tremolante nella vetrina della Libreria dell’Ultima Ora.
Da anni,
ormai, quella porta cigolante veniva aperta solo da lui, un vecchio scrittore
dimenticato persino da coloro che, un tempo, dicevano di ammirarlo.
I suoi amici –
quelli rimasti – lo salutavano con cortesia distratta, come si saluta un
ricordo che si preferirebbe non rievocare. Altri, invece, parlavano di lui con
un misto di commiserazione e ironia: un uomo che aveva creduto ai libri più di
quanto il mondo contemporaneo fosse disposto a fare.
«Come potrei lasciarti
andare? Sei come me: uno scaffale pieno di storie che nessuno vuole ascoltare,
le sedie vuote che aspettano lettori che non arrivano mai, il bancone che
scricchiola sotto il peso di romanzi invenduti.»
Le grandi catene
imperversavano ovunque, con le luci che, con le loro magie colorate,
illuminavano vetrine alle quali era impossibile resistere.
Eppure, ogni sera
prima di chiudere, compiva un gesto che non aveva mai rivelato a nessuno,
tranne che a sua moglie: appoggiava la mano su un libro diverso, come si
accarezza un vecchio amico. Poi sussurrava:
«Domani magari
verrà qualcuno.»
Era una frase quasi
infantile, ma in quella piccola bugia Aurelio ritrovava la forza di riaprire.
Arrivò la vigilia
di Natale e, come per incanto, iniziò a nevicare.
La città si accese
di luci. Via dei Ciottoli, invece, rimase in penombra, come se il tempo
l’avesse dimenticata.
Aurelio, intento a
sistemare un mucchio di romanzi rimasti invenduti, avvertì un improvviso
cedimento nelle mani. Si sedette, il fiato corto. La lampada oscillò,
proiettando sulla parete ombre lunghe come presagi, prima di spegnersi.
«Non adesso, non
così, anche se, forse, è giunto il momento di cominciare a pensarci» disse tra
sé.
Non fece drammi, ma
rimase ad ascoltare la quiete che avvolgeva la sua libreria.
In quel silenzio
percepì un rumore lieve, diverso dallo scricchiolio del legno. Un suono
morbido, un lamento soltanto accennato.
Il tintinnio della
porta non si udì: si aprì appena, come sospinta da un soffio, e una piccola
ombra si infilò dentro.
Un gatto.
Si fermò un istante
sulla soglia, osservando Aurelio, come se volesse chiedere il permesso per
entrare. Poi, con passo felpato, avanzò tra gli scaffali, scrutando e studiando
quel posto. Ogni tanto annusava l’aria, forse il suo modo di sapere se ci fosse
qualche altro gatto nei paraggi.
Dopo tutto quello
studio, andò ad acciambellarsi tra due mucchi di libri appoggiati sul bancone.
«Prego, accomodati»
gli disse Aurelio. «Fai come se fossi a casa tua.»
Il gatto sollevò la
testa e miagolò piano, quasi un cenno di suono.
Aurelio gli posò
una mano sulla testa e l’accarezzò.
Il calore di quel
piccolo corpo, inatteso e fragile, gli riscaldò le dita che si stavano
intorpidendo dal freddo.
Il gatto chiuse gli
occhi e, fiducioso, tornò a rannicchiarsi.
Aurelio rimase a
guardarlo per qualche secondo e, per un attimo, pensò che quel gatto aveva
riempito quella stanza molto più di tanti esseri umani.
Poi, con i suoi
gesti lenti, tornò al lavoro.
I suoi occhi
cominciarono a percorrere tutti gli scaffali e il suo sguardo accarezzava i
libri che riempivano ogni spazio.
Il suo sembrava un
ultimo saluto a chi l’aveva accompagnato fin lì.
Fu allora che udì un
vero tintinnio della porta.
Aurelio sollevò lo
sguardo.
Entrò una bambina,
avvolta in un cappotto rosso. Qualche piccolo fiocco di neve le brillava tra i
capelli.
La bambina iniziò
ad aggirarsi tra gli scaffali, guardando e, talvolta, prendendo in mano qualche
libro per poi riporlo al suo posto. Poi d’un tratto annuì, come se avesse dato
una risposta a una domanda che lei stessa si era posta.
«Questa è la
libreria di cui parlava mia nonna» disse.
Aurelio sentì una lieve accelerazione del battito, come
un ingranaggio che riprende a muoversi dopo anni di immobilità. Quel semplice
accenno a una persona che era stata lì, chissà quando, gli aprì una fessura
nella memoria.
Provò a ricostruire il volto
di una possibile cliente di un tempo remoto: una figura minuta, forse, o una
donna che entrava in punta di piedi, con lo sguardo di chi cerca qualcosa che
non sa nominare. Ma i ricordi gli sfuggivano, come fiocchi di neve
che si sciolgono appena li sfiori.
Aurelio rispose con
un sorriso spezzato, ma non proferì parola.
La bambina si
avvicinò di nuovo agli scaffali, come si entra in un giardino segreto.
«Lei diceva sempre
che in questo posto il Natale non finiva mai. Che qui dentro si può trovare una
storia per ogni paura.»
Aurelio continuò a guardarla
in silenzio.
La bambina prese un
libro a caso, lo aprì, lo sfiorò con le dita e disse:
«Mi aiuta a
scegliere quello giusto?»
In quel momento, un
calore inatteso attraversò il petto di Aurelio. Gli sembrò di respirare meglio.
La libreria, illuminata dalla neve che filtrava dal vetro, gli apparve diversa:
non più un luogo morto, ma un rifugio in cui il tempo aveva semplicemente
aspettato.
Aurelio comprese,
allora, che il Natale non era un giorno, ma un incontro, una mano tesa nel buio,
una voce che ti cerca quando pensi di non avere più niente da offrire.
La bambina non
comprò alcun libro e si incamminò verso l’uscita.
«Aspetta, prendi
questo» le disse Aurelio, porgendole un libro dei suoi, dopo avergli dato una
veloce spolverata con la mano.
«Ma non ho soldi
per pagare.»
«Non preoccuparti,
consideralo il mio regalo per la tua visita e per avermi parlato di tua nonna.
A proposito, come si chiama?»
«Si chiamava
Flora.»
«Si chiamava…
Flora. Capisco.»
Forse era una fantasia, forse una di quelle immagini che
la mente costruisce quando ha bisogno di compagnia. Eppure quel nome, Flora, lo
attraversò con un tepore lieve. «Chissà se, tanti anni fa, aveva trovato qui
ciò che stava cercando» pensò Aurelio.
«Sicuramente la
nonna mi avrebbe detto di ringraziare. Grazie per questo regalo.»
E mentre lo diceva,
abbracciò Aurelio che, stupito, rimase immobile, le mani un po’ tremanti.
In quell’abbraccio così improvviso e lieve, Aurelio sentì
qualcosa spezzarsi e ricomporsi dentro di lui: come se, per un istante,
qualcuno avesse riaperto una finestra in una stanza chiusa da anni. Era un
gesto piccolo, quasi timido, eppure caldo come una carezza dimenticata.
Poi la bambina uscì
e la porta si richiuse.
Il negozio era di
nuovo vuoto. Il mondo continuava a correre, frenetico, là fuori: passi
veloci che graffiavano il selciato, autobus che sbuffavano al gelo, voci che si
intrecciavano come fili tesi nell’aria, fidanzati che ridevano mentre camminavano
tenendosi a braccetto.
Ma dentro, tutto rimaneva immobile. Il silenzio si posava
sugli scaffali come neve intatta, e perfino la polvere sembrava ascoltare,
sospesa tra ciò che accadeva fuori e ciò che, lì dentro, non accadeva più.
La sua vita assomigliava
sempre più a quella libreria.
Eppure, in quell’abbraccio
così semplice da sembrare niente, Aurelio trovò qualcosa che credeva perduto: la
speranza.
La speranza fragile
e luminosa del Natale, quella che non salva le cose dal tramonto, ma dà loro un
ultimo splendore. Una fiamma che non cambia il destino, ma lo illumina
abbastanza da renderlo sopportabile.
Ebbe persino
l’impressione che i libri fossero usciti dagli scaffali e, tenendosi per le
pagine, si fossero messi a danzare nell’aria sopra le note di una dolce
melodia. Aurelio, sorridendo, si unì a loro, muovendo i piedi al ritmo di
quella musica.
Forse nessuno
sarebbe tornato, o forse sì.
Ma a volte, per
continuare a vivere, basta una sola visita nel momento più buio dell’anno.
E lui, quella
notte, aveva ricevuto il suo Natale.
E non fu che
l’inizio.

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