mercoledì 24 dicembre 2025

La neve tra i capelli - Una storia di Natale

Aurelio si alzò molto presto, come ogni mattina.

Infilò le ciabatte e andò a prendere la sua giacca da camera.

«Buongiorno, amore mio» disse rivolgendosi alla foto che ritraeva sua moglie sorridente insieme a lui.

Ripeteva quel rito da quando lei se ne era andata, prematuramente, vent’anni prima. Da allora quella foto stazionava sul comodino, accanto al letto.

«Dicono che dovrei andare in pensione, ma cosa farei a casa da solo? Meglio continuare a lavorare fino a quando Dio mi concederà la salute. Tu cosa ne pensi, amore? Mi piace ancora stare in negozio, con tutti quei libri a farmi compagnia.»

Solo lui era capace di sentire le risposte alle sue domande.

Dopo essersi vestito e aver bevuto una tazza di caffellatte, uscì di casa, inviandole un bacio con la mano.

Il primo freddo di dicembre era arrivato, e nella piccola Via dei Ciottoli nessuno fece caso alla luce tremolante nella vetrina della Libreria dell’Ultima Ora

Da anni, ormai, quella porta cigolante veniva aperta solo da lui, un vecchio scrittore dimenticato persino da coloro che, un tempo, dicevano di ammirarlo.

I suoi amici – quelli rimasti – lo salutavano con cortesia distratta, come si saluta un ricordo che si preferirebbe non rievocare. Altri, invece, parlavano di lui con un misto di commiserazione e ironia: un uomo che aveva creduto ai libri più di quanto il mondo contemporaneo fosse disposto a fare.

Eppure, ogni mattina Aurelio infilava la chiave nella serratura e accendeva la lampada color ambra che faceva brillare la polvere come neve sospesa.
Non si illudeva: era consapevole che il suo negozio non sarebbe mai “decollato”. Non era mai andato bene. Era nato già in caduta libera, come certe stelle che sanno di avere un’unica traiettoria e la percorrono con dignità. A stento racimolava gli spiccioli per mangiare; per i debiti, invece, aveva più volte dovuto intaccare i suoi risparmi.

«Come potrei lasciarti andare? Sei come me: uno scaffale pieno di storie che nessuno vuole ascoltare, le sedie vuote che aspettano lettori che non arrivano mai, il bancone che scricchiola sotto il peso di romanzi invenduti.»

Parlava da solo, per sentire il suono di una voce umana alla quale non era più abituato.
La libreria era un mondo che non esisteva più, e Aurelio lo sapeva. Forse non era mai esistito davvero se non nella sua ostinata immaginazione di uomo capitato per errore nel secolo sbagliato.

Le grandi catene imperversavano ovunque, con le luci che, con le loro magie colorate, illuminavano vetrine alle quali era impossibile resistere.

Con l’avvicinarsi del Natale, Aurelio sentiva un’ombra crescere alle sue spalle: una stanchezza profonda, un gelo che nessun cappotto riusciva a scacciare.
La sua vita stava scivolando verso un crepuscolo silenzioso, proprio come la sua libreria.

Eppure, ogni sera prima di chiudere, compiva un gesto che non aveva mai rivelato a nessuno, tranne che a sua moglie: appoggiava la mano su un libro diverso, come si accarezza un vecchio amico. Poi sussurrava:

«Domani magari verrà qualcuno.»

Era una frase quasi infantile, ma in quella piccola bugia Aurelio ritrovava la forza di riaprire.

Arrivò la vigilia di Natale e, come per incanto, iniziò a nevicare.

La città si accese di luci. Via dei Ciottoli, invece, rimase in penombra, come se il tempo l’avesse dimenticata.

Aurelio, intento a sistemare un mucchio di romanzi rimasti invenduti, avvertì un improvviso cedimento nelle mani. Si sedette, il fiato corto. La lampada oscillò, proiettando sulla parete ombre lunghe come presagi, prima di spegnersi.

«Non adesso, non così, anche se, forse, è giunto il momento di cominciare a pensarci» disse tra sé.

Non fece drammi, ma rimase ad ascoltare la quiete che avvolgeva la sua libreria.

In quel silenzio percepì un rumore lieve, diverso dallo scricchiolio del legno. Un suono morbido, un lamento soltanto accennato.

Il tintinnio della porta non si udì: si aprì appena, come sospinta da un soffio, e una piccola ombra si infilò dentro.

Un gatto.

Si fermò un istante sulla soglia, osservando Aurelio, come se volesse chiedere il permesso per entrare. Poi, con passo felpato, avanzò tra gli scaffali, scrutando e studiando quel posto. Ogni tanto annusava l’aria, forse il suo modo di sapere se ci fosse qualche altro gatto nei paraggi.

Dopo tutto quello studio, andò ad acciambellarsi tra due mucchi di libri appoggiati sul bancone.

«Prego, accomodati» gli disse Aurelio. «Fai come se fossi a casa tua.»

Il gatto sollevò la testa e miagolò piano, quasi un cenno di suono.

Aurelio gli posò una mano sulla testa e l’accarezzò.

Il calore di quel piccolo corpo, inatteso e fragile, gli riscaldò le dita che si stavano intorpidendo dal freddo.

Il gatto chiuse gli occhi e, fiducioso, tornò a rannicchiarsi.

Aurelio rimase a guardarlo per qualche secondo e, per un attimo, pensò che quel gatto aveva riempito quella stanza molto più di tanti esseri umani.

Poi, con i suoi gesti lenti, tornò al lavoro.

I suoi occhi cominciarono a percorrere tutti gli scaffali e il suo sguardo accarezzava i libri che riempivano ogni spazio.

Il suo sembrava un ultimo saluto a chi l’aveva accompagnato fin lì.

Fu allora che udì un vero tintinnio della porta.

Aurelio sollevò lo sguardo.

Entrò una bambina, avvolta in un cappotto rosso. Qualche piccolo fiocco di neve le brillava tra i capelli.

Il gatto sollevò appena la testa, fissandola con occhi attenti.
La bambina lo notò e sorrise: «Oh… ciao piccolo. Sei il guardiano della libreria?»
Il gatto rispose con un breve miagolio, quasi compiaciuto, prima di appoggiare di nuovo la testa tra le zampe.

La bambina iniziò ad aggirarsi tra gli scaffali, guardando e, talvolta, prendendo in mano qualche libro per poi riporlo al suo posto. Poi d’un tratto annuì, come se avesse dato una risposta a una domanda che lei stessa si era posta.

«Questa è la libreria di cui parlava mia nonna» disse.

Aurelio sentì una lieve accelerazione del battito, come un ingranaggio che riprende a muoversi dopo anni di immobilità. Quel semplice accenno a una persona che era stata lì, chissà quando, gli aprì una fessura nella memoria.

Provò a ricostruire il volto di una possibile cliente di un tempo remoto: una figura minuta, forse, o una donna che entrava in punta di piedi, con lo sguardo di chi cerca qualcosa che non sa nominare. Ma i ricordi gli sfuggivano, come fiocchi di neve che si sciolgono appena li sfiori.

Aurelio rispose con un sorriso spezzato, ma non proferì parola.

La bambina si avvicinò di nuovo agli scaffali, come si entra in un giardino segreto.

«Lei diceva sempre che in questo posto il Natale non finiva mai. Che qui dentro si può trovare una storia per ogni paura.»

Aurelio continuò a guardarla in silenzio.

La bambina prese un libro a caso, lo aprì, lo sfiorò con le dita e disse:

«Mi aiuta a scegliere quello giusto?»

In quel momento, un calore inatteso attraversò il petto di Aurelio. Gli sembrò di respirare meglio. La libreria, illuminata dalla neve che filtrava dal vetro, gli apparve diversa: non più un luogo morto, ma un rifugio in cui il tempo aveva semplicemente aspettato.

Aurelio comprese, allora, che il Natale non era un giorno, ma un incontro, una mano tesa nel buio, una voce che ti cerca quando pensi di non avere più niente da offrire.

La bambina non comprò alcun libro e si incamminò verso l’uscita.

«Aspetta, prendi questo» le disse Aurelio, porgendole un libro dei suoi, dopo avergli dato una veloce spolverata con la mano.

«Ma non ho soldi per pagare.»

«Non preoccuparti, consideralo il mio regalo per la tua visita e per avermi parlato di tua nonna. A proposito, come si chiama?»

«Si chiamava Flora.»

«Si chiamava… Flora. Capisco.»

Forse era una fantasia, forse una di quelle immagini che la mente costruisce quando ha bisogno di compagnia. Eppure quel nome, Flora, lo attraversò con un tepore lieve. «Chissà se, tanti anni fa, aveva trovato qui ciò che stava cercando» pensò Aurelio.

«Sicuramente la nonna mi avrebbe detto di ringraziare. Grazie per questo regalo.»

E mentre lo diceva, abbracciò Aurelio che, stupito, rimase immobile, le mani un po’ tremanti.

In quell’abbraccio così improvviso e lieve, Aurelio sentì qualcosa spezzarsi e ricomporsi dentro di lui: come se, per un istante, qualcuno avesse riaperto una finestra in una stanza chiusa da anni. Era un gesto piccolo, quasi timido, eppure caldo come una carezza dimenticata.

Poi la bambina uscì e la porta si richiuse.

Il negozio era di nuovo vuoto. Il mondo continuava a correre, frenetico, là fuori: passi veloci che graffiavano il selciato, autobus che sbuffavano al gelo, voci che si intrecciavano come fili tesi nell’aria, fidanzati che ridevano mentre camminavano tenendosi a braccetto.

Ma dentro, tutto rimaneva immobile. Il silenzio si posava sugli scaffali come neve intatta, e perfino la polvere sembrava ascoltare, sospesa tra ciò che accadeva fuori e ciò che, lì dentro, non accadeva più.

La sua vita assomigliava sempre più a quella libreria.

Eppure, in quell’abbraccio così semplice da sembrare niente, Aurelio trovò qualcosa che credeva perduto: la speranza.

La speranza fragile e luminosa del Natale, quella che non salva le cose dal tramonto, ma dà loro un ultimo splendore. Una fiamma che non cambia il destino, ma lo illumina abbastanza da renderlo sopportabile.

E mentre la neve silenziosa avvolgeva la via, Aurelio accese di nuovo la lampada.
La libreria brillò per un istante, come se fosse piena di vita e di persone, come aveva sempre sognato.

Ebbe persino l’impressione che i libri fossero usciti dagli scaffali e, tenendosi per le pagine, si fossero messi a danzare nell’aria sopra le note di una dolce melodia. Aurelio, sorridendo, si unì a loro, muovendo i piedi al ritmo di quella musica.

Forse nessuno sarebbe tornato, o forse sì.

Ma a volte, per continuare a vivere, basta una sola visita nel momento più buio dell’anno.

E lui, quella notte, aveva ricevuto il suo Natale.

E non fu che l’inizio.

 

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