Dedicato
a te, mamma
Lo
volli in fretta terminare.
Poco
tempo ti restava,
tu
non potevi più aspettare,
ma
a te, prima fra tutti,
lo
volevo raccontare.
Ti
mettesti giù,
distesa
sul tuo fianco
come
quando ti volevi addormentare,
e
ad occhi chiusi
ti
accingesti ad ascoltare.
Per
un’ora, forse più,
io
rimasi lì a parlare:
sembravi
una bambina
cui
si racconta una novella
per
render la notte un po’ più bella.
Per una volta io ero tuo padre,
e
tu mia figlia.
Quando
infine terminai,
sorridesti,
e
io a te mi avvicinai.
Ignorando
il tuo dolore
mi facesti un complimento
che
ora porto nel mio cuore,
stella
dentro il firmamento.
Adesso
te ne sei andata,
dal
tuo male liberata,
da
quella infima prigione
ultima
tua tribolazione.
E
con il ricordo
di
quell’ultimo sorriso
io
ora prego:
vola mamma, vai!
Ti accolga il Paradiso.
Quel 7 maggio la tua mano si spense nella mia.
Sono passati diciotto anni da quel giorno. E se
anche nel mondo in cui sei la maggiore età si raggiunge al compimento del
diciottesimo anno, allora oggi sei diventata maggiorenne. Forse stai già prendendo
la patente o forse sei prossima al diploma, traguardi che nel nostro mondo la
vita ti ha negato.
Chissà quale festa starai preparando, e chissà
quanti amici avrai. Forse qualcuno che ho conosciuto anch’io è lì con te. Provo
a immaginare un dialogo.
Tu che dici: «Mio figlio, nell’altro mondo, si
chiama Roberto.»
E l’altro, o l’altra, che ti risponde: «Ma quel
Roberto lì? È tuo figlio? Ma sai che lo conosco.»
È bello pensarti a discorrere piacevolmente insieme ad altre persone a cui ho voluto bene, e tu che apprendi che tipo di persona sono diventato, che tua nipote è una donna, che il babbo cammina con il bastone, che i miei capelli sono pochi e bianchi.
Ma tu sai già tutto perché i tuoi occhi… sentono.
Oggi porto gli occhiali, mamma, per vederci
meglio, ma con te non mi servono: tu sei sempre bella.
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