Questa è stata la domanda che mi ha rivolto mia suocera quando ho informato la famiglia che avrei partecipato ad un corso di approccio al Greco.
In realtà la domanda è stata leggermente diversa, questione
di sfumature, perché mia suocera dall’alto dei suoi novantacinque anni, me l’ha
rivolta in quel dialetto amatriciano che ancora alberga dentro di lei: «A Robbe’,
ma a che te serve?».
Forse lei, con quella domanda, intendeva tutelarmi, pensando che andavo ad aggiungere qualcos'altro alle tante cose che già devono essere condotte al termine della giornata.
I più avrebbero risposto: «A niente», guardando all’aspetto
pratico.
Io invece risposi: «Per mio arricchimento».
Non si può misurare tutto sulla base di un tornaconto: faccio
questo perché mi serve a quest’altro.
I doveri nella vita sono già molti, per cui lasciamo un po’ di
spazio anche ad altro, ad una curiosità che invita a conoscere qualcosa di
nuovo, ad una passione che stimola ad alimentare un sogno, ad una coppia di
neuroni che desidera continuare a danzare in una balera che sembra sempre più stretta,
a tutto quello che aiuta a rendere la quotidianità più bella, più leggera, più
godibile, più vivibile.
La felicità, forse, è una meta irraggiungibile, ma perché non
tentare di avvicinarla?
In questo contesto tutte le cose, anche le più piccole e
apparentemente insignificanti, assumono un senso ed il loro valore diventa
inestimabile.
Anche un corso di Greco, perché la curiosità che mi ha spinto
a farlo mi ha fatto capire che ho ancora lo spirito di mettermi in gioco e
provare qualcosa di nuovo, di esplorare qualcosa di sconosciuto fino a quel
momento, lo spirito di andare avanti, ma senza perdere di vista la realtà,
rimanendo con i piedi per terra, considerando ciò che è fattibile senza
sacrificare oltre il lecito la famiglia, la più grande grazia che abbia
ricevuto, che da sempre mi sopporta, mi supporta e mi sostiene.
Oggi, a corso terminato, alla domanda «A Robbe’, ma a che te
serve?», rispondo così:
«A vivere».
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