domenica 29 luglio 2012

Olimpiadi 2012


Sono iniziate le Olimpiadi e subito siamo attratti da competizioni che, altrimenti, interesserebbero poco o niente. E sono proprio quegli atleti, eroi per un giorno e subito dimenticati, che portano in alto l’onore dell’Italia, molto più dei blasonati e ricchi campioni. E così ti ritrovi a tifare per un tiratore di cui non conosci il nome, quello lo conoscono solo gli addetti ai lavori, ma il grande evento ti tiene incollato al televisore, ed il cuore ti batte pure forte fino al tiro finale che vale la medaglia.
Colpiscono le lacrime dei vincenti e quelle dei secondi. Chissà se capiterà di nuovo un’opportunità del genere.
E colpisce la storia di un trentottenne che, dato per finito, risorge da un serio infortunio e va a vincere la sua, forse, ultima gara.
Storie che colpiscono, storie di vita, storie di sport, storie di sogni, storie di opportunità che non capitano più.
Lo sport, come la vita.

sabato 21 luglio 2012

Quattro passi... con Ben - Settantatreesima puntata


Rientrammo per l’ultima volta al fortino per cambiarci.
Ci togliemmo per l’ultima volta la divisa, che riconsegnammo insieme a tutto l’altro materiale, e indossammo nuovamente e finalmente gli abiti civili.
La contentezza era tanta, ma non esplodeva in nessuno di noi.
Ognuno di noi desiderava andare via il più rapidamente possibile, ma non era ancora pronto a farlo.
Ci tratteneva quel legame che si era creato e la consapevolezza che per molti di noi era l’ultima volta che ci vedevamo. Quindi c’era anche un velo di tristezza.
Scendemmo per l’ultima volta le scale del fortino, che era ormai deserto; c’era solamente chi lavorava lì. Ci ritrovammo nel cortile con i nostri bagagli in mano. Le grida di contentezza non si sentivano più come all’inizio della mattinata.
Arrivò inesorabile il momento dei saluti.
Al centro del cortile, sotto il sole caldo di fine giugno, lasciammo cadere le borse per terra, come a comando, e cominciammo ad abbracciarci, salutandoci e facendoci gli auguri di buona fortuna; per un po’ parlammo, poi l’emozione sfociò in un pianto liberatorio in molti di noi.
L’abbraccio con Giorgio non finiva mai, e nemmeno la commozione.
Poi fu la volta di Nicola, e via via tutti gli altri, uno ad uno, escluso Federico, con il quale avevamo da fare ancora il viaggio di ritorno insieme.
Fu un distacco difficile, di quelli che lasciano il segno, perché avevamo trascorso insieme un intero anno, fianco a fianco, per ventiquattro ore su ventiquattro, condividendo tutto ciò che si era presentato: gioie, dolori, arrabbiature, momenti tristi, momenti di crisi; si era creato un rapporto difficile da capire per chi non l’ha provato perché il sentimento che ci univa era qualcosa di diverso da un’amicizia: con gli amici si condividono parole, pensieri, azioni, ma ognuno vive per conto proprio, poi sovente ci si incontra. Per noi era tutto questo oltre al fatto di vivere costantemente insieme, giorno e notte.
Durante quell’abbraccio ci passarono davanti agli occhi, come in piccoli flashback, i momenti salienti di quell’anno.
Poi ci asciugammo le lacrime, riprendemmo i nostri bagagli e urlando: “È finita, è finita per sempreeeeeee!!” ci incamminammo verso l’uscita.

lunedì 16 luglio 2012

Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters

Un libro di poesie attraverso le quali l’autore richiama in vita un gran numero di personaggi, circa duecentocinquanta, vissuti in un piccolo paese e che ora giacciono in un piccolo cimitero su di una collina. Sono persone morte, quindi, che adesso parlano di sé. Guardando quel cimitero tutto sembrerebbe quieto e tranquillo, ma ascoltando la storia di quei personaggi si ha l’impressione di rivivere la loro esistenza, sì perché quei personaggi sono vivi. Ognuno racconta la sua storia, ambientata in un periodo diverso dal nostro, siamo nei primi anni del Novecento, ma ci possiamo tranquillamente ritrovare ciò che accade ai nostri giorni, la nostra quotidianità, i nostri sentimenti, la nostra storia. Insomma, quello che accadeva allora è quello che accade oggi. Ne esce fuori un quadro della vita sotto tutti gli aspetti, con le accuse verso un certo stile di vita, le sue ipocrisie, ma anche l’espressione dei tormenti dell’anima e dell’esistenza, a volte repressa, a volte vissuta. C’è chi parla bene della vita e c’è chi ne parla male, e attraverso questa “accusa” si nota il desiderio di una realtà migliore. In entrambi i casi, anche a dispetto del fatto che a parlare sono dei morti, in queste storie vi si può scorgere una gran voglia di vita. 
Voto di Ben: 7,5

mercoledì 4 luglio 2012

lunedì 2 luglio 2012

E' la fine di un'epoca


E' la frase che dicevo a mia figlia quando terminava un periodo importante della sua e della nostra vita. Lo dicevo in tono scherzoso, col sorriso sulle labbra, con un duplice significato: qualcosa finiva, qualcosa stava per iniziare, qualcosa scivolava dietro, qualcosa aspettava davanti.
Lo dissi quando smisi di accompagnarla alla fermata dello scuolabus, lo dissi dopo la fine delle elementari, quando ancora non era in grado di capire bene cosa intendessi dire, lo ribadii alla fine della scuola media. Adesso, al termine dell'esame di maturità, lo abbiamo detto insieme, contemporaneamente. In questi cinque anni abbiamo fatto insieme il viaggio di andata verso la scuola, in auto. L'accompagnavo e poi proseguivo per il mio ufficio. Negli ultimi tempi ha guidato lei, io ho fatto il passeggero, pronto a riprendere il comando della Panda a metano solo dopo l'arrivo a scuola. 
Questo è l'inizio di un'epoca, e presto un'altra inizierà.
Io dovrò fare scorta di buona musica da ascoltare in auto, perché, d'ora in avanti, mi sentirò un po' più solo.