Durante quel periodo conobbi solamente una persona che fosse estranea al mondo militare. Accadde a Pescara un sabato pomeriggio che ero uscito da solo.
Mi feci un bagno, presi un po’ di sole, e nel tardo pomeriggio decisi di telefonare a Cinzia per comunicarle che quella notte avevo sognato che il Giuba era diventato padre e, poiché la nascita era prevista in quei giorni, volevo informarla di questo presentimento.
Mi recai in una piazza del centro, ricca di cabine telefoniche e in attesa del mio turno mi misi seduto sopra una panchina giocherellando con il sacchetto dei gettoni.
“Buonasera” disse un signore sulla cinquantina. “Posso sedermi oppure è occupato?”
“Prego, venga pure, è libero” risposi.
“Sei in servizio di leva?” continuò.
Evidentemente il taglio dei capelli era un segnale ben visibile.
“Sì.”
“E dove?”
“A Chieti.”
“Ah, sei un carabiniere!”
“No, sono nell’esercito.”
Continuammo per un po’ la conversazione.
Io per natura sono sempre stato diffidente con gli sconosciuti ma nonostante ciò non mi dispiaceva parlare con quell’uomo, di cui ancora non conoscevo il nome. Forse avevo voglia di parlare anche per interrompere la solitudine che mi attanagliava in quel periodo, ed in quella giornata in particolare.
“Scusa, non mi sono ancora presentato” disse poi improvvisamente. “Mi chiamo Romolo.”
“Io Roberto, piacere.”
“Stai aspettando che si liberi una cabina?”
“Sì, devo chiamare la mia ragazza. Stanotte ho sognato che il mio migliore amico è diventato padre e siccome il tempo scade proprio in questi giorni …”
Non avevo intenzione di dirlo, ma mi uscì così, inavvertitamente.
“Stai a vedere che è nato!” concluse lui. “Ah, guarda, c’è una cabina libera.”
“Vado.”
Ed entrai in cabina.
Cinzia mi disse che il giorno precedente era nato Lorenzo e che l’indomani sarebbe andata a vederlo insieme ad altri nostri amici. Ero molto contento, ma mi dispiaceva non essere lì in quel momento. Ero commosso. Uscii dalla cabina con il sorriso sulle labbra, ma con gli occhi lucidi dalla commozione e mi diressi verso quella panchina sulla quale Romolo era ancora seduto.
“È nato davvero” gli dissi.
“Si vede che sei contento, ma ti dispiace di essere lontano, non è così?”
“Già.”
“Devi essere un bravo ragazzo. Ma non essere triste, anzi, sai cosa ti dico? Andiamo al bar, ti offro da bere così puoi brindare alla salute del neonato.”
Andammo in un bar a prendere una bibita, dopo mi volle far vedere il suo laboratorio, la sua lavanderia. Poi lo salutai perché era l’ora di riprendere l’autobus e tornare a Chieti.
“Tornerai a Pescara?” chiese.
“Non lo so, perché spesso sono di servizio, e poi il 28 parto per la mia destinazione.”
“Dove ti mandano?”
“A Montichiari.”
“Nella piana bresciana, non è male, è vicino al lago di Garda.”
“Tu sai dov’è? Allora solo io non so dove si trovi questo posto.”
“Sai come si chiama la caserma dove andrai?”
“No, non ancora.”
“Tu conosci il mio indirizzo. Facciamo una cosa: quando sei lassù inviami quello tuo, così ogni tanto potremo scriverci.”
Rimasi un po’ sorpreso per quella richiesta, comunque gli risposi di sì, convinto che comunque non lo avrei né rivisto né sentito. Invece, poiché per me una parola data va rispettata, una volta arrivato a destinazione gli mandai il mio indirizzo e lui cominciò a scrivermi delle cartoline, alle quali ogni tanto rispondevo. Poi, un giorno, arrivò una cartolina con su scritto: “Tanti saluti da Pescara. Con amore, Romolo.”
A quel punto realizzai che avevo conquistato un omosessuale.
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