La borsetta
Ho sempre rovinato tutto nella mia
vita.
Avevo un lavoro, ma ho combinato
dei casini e l’ho perso.
Quando tornai a casa, mio padre era
seduto al tavolo di cucina. Mi guardò male e mi disse: «Vai in camera tua e rifletti.»
Era un uomo tutto d’un pezzo, non
avrebbe sopportato la vergogna.
Mi raggiunse in camera. Entrò senza
bussare. Io non avevo ancora capito che cosa significava il gesto che avevo
fatto, ma lui lo sapeva.
Mi aspettavo una scenata, delle
urla e invece mi disse di non rifarlo più.
A quelle parole, mia sorella, che
nel frattempo era giunta alle sue spalle e stava ferma sulla porta, rimase incredula
ed impietrita, scosse la testa per manifestare il suo dissenso e fuggì via
sbattendo il portone di casa.
Mio padre non fece in tempo a dirle
niente. Accusò il colpo e se ne tornò in cucina.
Se ci fosse stata mia madre,
avrebbero discusso di questa situazione. Ma lei era morta alcuni anni prima.
Mia sorella rincasò tardi quella
sera. Disse a mio padre che non poteva accettare quel suo comportamento. Il
giorno successivo sarebbe andata a vivere col suo fidanzato.
Io ascoltai la loro conversazione
perché avevo lasciato la porta di camera aperta, ma questo non potevo
permetterlo. Uscii e di corsa raggiunsi la stanza dove loro stavano parlando.
Mi sorprese questo fatto: stavano parlando. Io lo avrei fatto con molta
veemenza, urlando ed arrabbiandomi, forse sbattendo i pugni sul tavolo.
Il mio impeto si attenuò trovandoli
entrambi seduti a conversare come se stessero al bar a bere un aperitivo.
Mia sorella era rossa in faccia e
faceva di tutto per trattenere la sua rabbia. Non trovava giusto che io non
avessi ricevuto nemmeno un rimprovero da parte di mio padre. Io la capivo,
avrei avuto la sua stessa reazione.
Mio padre non perse la calma e
cercò di spiegarle il motivo di quel suo comportamento.
Fui io a rompere gli indugi.
«Non andrai via tu, Teresa» dissi rivolgendomi a mia sorella. «Sarò io ad andarmene.»
Fu così che a ventinove anni mi
ritrovai sulla strada, senza un soldo e senza un lavoro.
Mio padre tentò invano di farmi
cambiare idea. Mia sorella disse che sarebbe andata via ugualmente, ma poi non
lo fece.
Nei giorni successivi cercai di
immaginare lo stato d’animo di mio padre. Forse sarebbe morto di crepacuore.
Io ero diverso, per morire di
crepacuore bisogna averlo un cuore, ed io non ne ho mai avuto uno.
Ormai avevo l’aspetto dei clochard,
ma senza la loro dignità.
Mi aggiravo vagando come un morto
vivente fra le strade della città in cerca di un po’ di cibo da estrarre dai
cestini dei rifiuti.
Mi vergognavo di me stesso e se mio
padre mi avesse visto in quelle condizioni... Per non parlare di mia sorella.
Lei avrebbe fatto finta di non conoscermi.
D’un tratto notai una bella signora
all’interno di un bar. Non entrai, non potevo farlo in quello stato. Mi
avrebbero buttato fuori a calci.
Decisi di andarmene e di ritornare
il giorno successivo, dopo essermi dato una lavata ed una ripulita.
Lo feci per vari giorni e durante
quei giorni passai sempre davanti a quel bar, senza trovare il coraggio di
entrare.
Lei, ogni giorno, alla stessa ora,
era lì dentro.
Per me le cose non erano cambiate,
ero soltanto un po’ più presentabile, ma lo stomaco era ancora vuoto. Forse lì avrei
potuto procurami qualcosa, ma non avevo soldi. A stento stavo in piedi e il
dolore della fame era più forte dei giorni precedenti.
Decisi di entrare in quel bar.
La porta si chiuse dietro di me. C’era un allegro brusio, la gente parlava e rideva, ed ogni tanto sorseggiava qualcosa da lunghi bicchieri. Qualcuno cercava di infilzare un’oliva con uno stecchino per portarla alla bocca, ma non sempre ci riusciva.