martedì 1 novembre 2022

Quasi

 

Non ricordo bene come decisi di andare a quel convegno.

La materia era di per sé inutile per il mio lavoro e per i miei interessi, ma quel titolo, così accattivante, fu per me un richiamo irresistibile. Andai sul sito, feci l’iscrizione e, sempre online, comprai il biglietto del treno per andarci.

Arrivato sul posto, all’interno di una fortezza medievale nel centro storico della città, cercai e, per fortuna, trovai l’Aula Magna. Andai a sedermi in seconda fila. C’erano alcune persone arrivate prima di me. Mi guardai attorno per cercare di capire se ero nel posto giusto, perché mi sembrava che ci fosse poca gente. L’aula era buia, più che buia era in penombra, insomma non c’era tanta luce. Forse era presto e ancora dovevano accendere tutte le lampade.

A poco a poco le poltrone cominciarono a riempirsi e nel giro di una decina di minuti il convegno ebbe inizio.

«Buongiorno e benvenuti al convegno “Lo sport, metafora della vita”. Oggi parleremo…»

E lì ebbe inizio il bla bla bla della giornata. Tutti discorsi filosofici che presto mi fecero assopire, gli occhi mi si appesantirono ma non si chiusero, pertanto ero sveglio, ma non abbastanza da rimanere concentrato sull’argomento. Così mi distrassi e cominciai a pensare ai fatti miei, rimproverandomi per aver speso tutti quei soldi per una noia così grande.

Stavo sul punto di addormentarmi, questa volta per davvero, quando improvvisamente fui svegliato da una voce che mi sembrò particolarmente vicina alle mie orecchie. Infatti aprendo gli occhi e sollevandoli verso l’alto, vidi sopra di me il volto del relatore che evidentemente faceva i suoi bei discorsi camminando su e giù per la sala, col il suo minuscolo microfono attaccato al bavero della giacca.

«Pertanto, alla luce di quanto fin qui esposto, che cosa potremmo rispondere se ci venisse fatta la domanda: “Chi sei tu?”»

E rimase lì, pietrificato, con un ghigno diabolico a guardarmi coi suoi occhi sbarrati e nervati di sangue, come se avesse deciso di non muoversi prima di aver ottenuto da me una risposta.

Mi tirai su dalla poltrona nella quale ero sprofondato nel goffo tentativo di darmi un contegno e mettermi composto.

Quella domanda rivolta a bruciapelo mi aveva colto di sorpresa, negandomi la prontezza di rispondere subito. Dovetti pensarci un po’. Un attimo, un frangente durante il quale la mia mente ripercorse la mia vita. Come direbbero quelli che hanno visto la morte in faccia, la vita mi è passata davanti agli occhi. Beh, non tutta, gran parte.

Non c’è stato molto da ripercorrere, in realtà, perché la mia vita è sempre stata un po’ così… così… insomma, se fosse un film sarebbe un cortometraggio, se fosse un menù avrebbe una portata, forse due, se fosse… meglio chiuderla qui, altrimenti rischio di deprimervi.

Istintivamente sono andato con la memoria ai tempi in cui ero bambino. Per capire chi sono, dovevo partire un po’ da lontano, dalla preistoria e vedere chi ero.

Così ho visto un bambino, né alto né basso, né biondo né moro, né grasso né magro, goffo per alcune cose, abile per altre.

Un bambino con la voglia di giocare, ma senza sapere con chi farlo, che si tuffava nello studio per cercare di capire di più il mondo. A vedere come stanno andando le cose, verrebbe da dire che la partita era persa in partenza.

A proposito di partite, in questo caso di calcio, rimarrà indimenticabile quella che avrei dovuto giocare e che non ho mai giocato.