Lo Squalo era sonnambulo e per quanto gli circondassimo la branda di sgabelli di metallo, lui di notte, al buio, riusciva a scansarli e a girovagare per il fortino. Se incontrava qualcuno ci parlava pure, ma la mattina dopo, al risveglio, era nebbia completa e non ricordava nulla. Prima però di entrare in quel particolare stato di trance, c’era un segnale, una specie di avvisaglia, ed era rappresentato da uno stato di agitazione che lo portava a rannicchiarsi nel letto fino ad occupare lo spazio di circa quaranta, cinquanta centimetri (e pensare che la sua altezza arrivava a circa un metro e ottanta). Quando entrava in questa condizione, avevamo accertato che lui recepiva ciò che gli veniva detto ed era in grado di rispondere. Insomma sembrava del tutto sveglio.
Unimmo questo fatto alla enorme gelosia che nutriva nei confronti della sua ragazza, Cristina. Così, con gli altri della camerata, pensammo ad un piano e appena fu possibile…
“Eccolo, incomincia ad agitarsi, prepara il walkman” fu il segnale.
Appena ebbe finito di agitarsi, lo cercammo nel letto e gli mettemmo le cuffie alle orecchie.
Poi iniziai a parlare nel microfono, in modo che lui sentisse.
“La Cristina ti mette le corna.”
Poi facendo il passamano ognuno di noi diceva qualcosa che potesse turbarlo.
“Te le mette con Piccininno” continuò Federico.
Piccininno era un grande antipatico di Bari, che restava particolarmente sulle scatole allo Squalo, quindi chi meglio di lui per farlo arrabbiare.
“A quest’ora lei se la fa con lui e tu sei in caserma!” infierì Marino Groovy.
“Vedessi come dondola quella macchina” provocò Fabrizio.
Cominciò a risvegliarsi e gli togliemmo le cuffie.
Lo Squalo si sedette di scatto sul letto e aprì gli occhi. Sembrava sveglio e cominciammo a parlargli.
“Che hai fatto? Ti sei sognato?” gli chiesi con indifferenza.
“Non so, ma devo andare a telefonare alla Cristina.”
“A quest’ora? Lo spaccio è chiuso, dove vuoi andare?”
“La devo chiamare, le devo dire che è tutto finito. Sono convinto che mi tradisce e non lo sopporto!”
Guardandolo, mi accorsi che i suoi occhi erano bagnati di lacrime.
“Ma dai, ma che dici? Hai solo sognato! Non fare così!”
Ma lui era deciso e noi cominciammo a pensare che avevamo osato troppo.
Si alzò in piedi, aprì l’armadietto per cercare i gettoni. Ma prima prese l’agenda e alla data di quel giorno scrisse: “Devo lasciarti, non posso continuare facendo finta di niente.”
Prese i gettoni, si mise addosso la giacca della muta ed in pantaloni di pigiama e ciabatte si incamminò verso lo spaccio per andare a telefonare.
Non sapevamo se fosse stato meglio svegliarlo oppure no, così non lo facemmo e gli andammo dietro cercando di farlo ragionare. Il caso volle che nel corridoio incontrasse Piccininno. Si fermò e con uno sguardo di sfida lo seguì durante il suo camminare. Piccininno lo salutò “Ciao Stefano”, ma lo Squalo:
“Quello mi sta sempre più sulle palle!”
Lo convincemmo a fermarsi a sedere sui gradini delle scale.
“Stefano, ma perché ce l’hai con lui? Che ti ha fatto?”
“Non lo so, ma ogni volta che penso alla Cristina con un altro, mi viene in mente la sua faccia di merda.”
Il nostro piano aveva funzionato, ma aveva funzionato troppo, ed ora bisognava tornare un po’ indietro.
“Ascolta Stefano, ma ti rendi conto delle bischerate che dici? In primo luogo la Cristina ti vuole bene e non ti tradisce con nessuno. In secondo luogo, come fa a tradirti con Piccininno se è qui anche lui? Dai, ragiona un po’. Questi discorsi non sono da te!”
Si grattò la testa, senza rispondere, poi dopo un attimo di riflessione si rialzò, restando lì impalato.
“Dai, andiamo a letto che è tardi” gli dissi.
“Va bene, ma domani la chiamo!”
“Va bene, domani la chiami.”
E lo riportammo a letto, tirando un sospiro di sollievo.
La mattina seguente lo svegliai:
“Oh, Stefano, dai, svegliati che è l’ora. Tu ci hai tenuti tutti svegli stanotte.”
“Io? Che vuoi dire?”
“Ma come che vuoi dire? Ma mi pigli in giro? Tu volevi per forza andare a telefonare alla Cristina per lasciarla; ti abbiamo dovuto rincorrere fino giù alle scale per fermarti, ma non ti ricordi di nulla?”
“No. Però mi sembra di aver sognato qualcosa del genere.”
“Sognato? Tu eri sveglio più di noi, altro che sognato. Tu parlavi e tu camminavi! Altrimenti come si farebbe a sapere queste cose? Non ci credi? Allora apri l’agenda e leggi quello che tu hai scritto.”
“Addirittura?” disse incredulo.
“Addirittura, addirittura. Forza, aprila!”
La aprì e lesse, restando fermo e perplesso.
“Ci credi ora? Testone! Dai lascia perdere, non la chiamare per un sogno, se no tu passi anche da bischero!”
Alcune sere più tardi, rifacemmo il solito esperimento, ma al contrario, per scaricarci la coscienza e il nostro senso di colpa per ciò che avevamo fatto in precedenza. Lo convincemmo che la Cristina amava solo lui e non lo avrebbe tradito per nessun altro uomo al mondo, compreso Piccininno!
La mattina successiva si alzò sereno. Noi facemmo finta di niente.