mercoledì 20 agosto 2025

Patria - Fernando Aramburu - (Guanda 2017)

Un romanzo considerato da molti un capolavoro. La copertina è costellata da citazioni entusiastiche di questo e di quello.
Per carità, lungi da me fare il bastian contrario, ma un po’ controcorrente mi sento di andare.
Non metto in dubbio la bravura dell’autore, ci mancherebbe altro, ma ci sono molte pagine che mi hanno lasciato perplesso.
Un po’ come quando ascolti una canzone di un artista che è indubbiamente bravo: ne riconosci la qualità, ma semplicemente… non ti arriva.
 
Tralascio trama e analisi dettagliata: si trovano ovunque.
La mia impressione è questa:
Troppo lungo: oltre seicento pagine, un terzo delle quali superflue.
Di non facile lettura: continui salti temporali che disorientano, una narrazione in terza persona che all’improvviso si trasforma in prima, parole il cui significato va ricercato in un apposito glossario posto alla fine del libro.
Personaggi: tanti, troppi, e dal nome complicato. Soprattutto all’inizio, sono un vero e proprio rompicapo.
La tentazione di mollarlo si è fatta sentire quasi subito, ma la curiosità di sapere perché è considerato un capolavoro (e forse anche l’esperienza passata con Il dottor Zivago, finito di leggere dopo l’ennesimo tentativo) è stata più forte.
Così sono arrivato alla fine.
La suddivisione in tantissimi, brevi, capitoli mi è stata di aiuto in questo.
E a proposito di finale: secondo me è un altro punto dolente.

Detto questo, non mancano le note positive.

E lì sì che si vede tutta la bravura dell’autore: nella profondità dei personaggi, siano essi vittime o carnefici (o entrambe le cose allo stesso tempo), nella complessità del perdono, nella capacità di restituire un’umanità anche a chi ha compiuto atti atroci.

E ancora: l’amicizia infranta dalle ideologie, le vite distrutte dalla violenza.

Ce n’è per tutti: ogni lettore può trovare una pagina che sente propria, un passaggio in cui rispecchiarsi.

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