Alcune settimane fa sono tornato in quella terra.
Dieci anni sono trascorsi dalla mia ultima visita, e nove da quella
notte fatidica in cui tutto cambiò. Da allora, quel territorio continua a
gridare, ma resta inascoltato.
Questa ultima visita ha spazzato via — come un colpo di spugna — le
immagini solari e gioiose che conservavo nella memoria. Ora, nei miei occhi
restano solo tristezza, rassegnazione, desolazione.
Forse è stata colpa di quella giornata grigia, piovosa e fredda.
O forse è stato quel senso di vuoto che il nulla riesce a trasmettere con così
tanta forza.
Nove anni fa scrissi le parole che trovate qui sotto.
Amatrice - 24 agosto 2016
«Roberto, sono Don Luigi. Qui ha fatto il terremoto. Io sto bene. Ha spianato tutto. Ci sono i morti, ma io sto bene. Avverti tutti tu.»
Erano le 04:11 del 24 agosto e
queste sono le parole che ho sentito rispondendo al telefono, in piena notte.
Don Luigi è lo zio di mia moglie,
fratello di mia suocera. Abita ad Amatrice, dove Cinzia e sua madre, entrambe
nate lì, avevano trascorso qualche giorno di vacanza fino alla domenica
precedente. Io no, quest’anno non sono riuscito ad andarci, come Sara.
In famiglia ci siamo messi in moto
per fare quello che lo zio aveva chiesto, avvertendo gli altri parenti e
mettendoli al corrente di quella notizia.
Poi è cominciata una ricerca quasi
spasmodica di notizie: su internet, in televisione.
Cominciavano ad arrivare le prime
testimonianze, ma soltanto la luce del giorno ha saputo dare l’idea di quello
che era accaduto.
Il resto è ancora cronaca.
Su internet, sono alla continua
ricerca di notizie, video, foto, per cercare di capire, per vedere se riesco ad
intravedere quel che resta delle case dei parenti. O solamente per
intercettare, in una foto, un volto conosciuto e poter dire: «È vivo!»
Amatrice, un paese che mi ha
accolto molte volte durante le vacanze estive.
Amatrice, un paese verso il quale
ora provo quasi un senso di colpa: me ne sono accorto solo quando non c’era
più.
Alcune persone a noi care non ce
l’hanno fatta.
Le notizie di questi giorni mi
provocano dolore, come se anch’io fossi nato in quel posto e provo un senso di
frustrazione e di impotenza perché adesso vorrei essere lì, come tanta altra
gente, a dare una mano.
Così guardo quei soccorritori che
lottano contro il tempo per tentare di salvare una vita umana come se fossi uno
di loro.
Così guardo quei volontari che
distribuiscono pasti caldi come se fossi uno di loro.
Poi guardo quelle persone colpite
dalla tragedia, ma non sarà possibile immaginare, nemmeno lontanamente, quello
che stanno provando loro.
Ho in mente l’ultima foto che ho scattato ad Amatrice, dalla Croce dell’Eremo, dopo una passeggiata in mezzo al bosco. Una panoramica che la riprende tutta, dalla curva delle suore fino alla Chiesa di Sant’Agostino.
Questa foto è l’ultima che ho
scattato ad Amatrice. Risale allo scorso anno.
Così non la rivedrò più.
Ma spero di rivederla, forse ancor
più bella.
Oggi, a distanza di tutto questo tempo, la
speranza che allora nutrivo sta lentamente svanendo.
Nel frattempo, con quella speranza, tante vite se ne sono andate.
Alcune altrove.
Altre per sempre.
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